Mia moglie Chiara, nata il 1° Maggio, ha rischiato di venire alla luce su un taxi. Per anni lo hanno raccontato (ora) divertiti i miei suoceri, ricordando che la macchina era rimasta bloccata da uno dei grandi cortei operai che, alla fine degli anni Cinquanta, si svolgevano in molte città italiane. Solo la sensibilità di alcune manifestanti permise all’auto pubblica di raggiungere l’ospedale.
Se paragonato alla situazione attuale l’episodio fa sorridere: la festa del lavoro ai tempi del coronavirus è una fotografia impietosa, deserta e stanca di una Roma che rinuncia persino alla gita fuori porta per le tradizionali fave e pecorino. Anche il concertone del Primo Maggio, per anni tradizionale appuntamento a San Giovanni, si svolge quasi tutto in streaming con una piccola presenza pubblica alla Cavea dell’Auditorium.
Eppure mai come oggi il tema del lavoro dovrebbe essere al centro della capitale: secondo un dossier, realizzato da CGIL di Roma e Lazio, nel 2020 sono stati attivati 26mila contratti a tempo indeterminato in meno rispetto al 2019, mentre i contratti a termine sono stati 142mila in meno e il 58 per cento ha una durata media di 30 giorni. Per quanto riguarda gli indeterminati le cessazioni superano le attivazioni e ciò vuol dire che non vengono sostituiti con la stessa tipologia contrattuale. Senza il blocco dei licenziamenti, fa notare il sindacato, il numero dei disoccupati sarebbe drammaticamente più alto.
Cresce il numero dei lavoratori non tutelati, come i rider; aumentano le difficoltà per donne e giovani; falcidiati i tradizionali settori occupazionali di Roma: turismo, ristorazione, arte. Quella che si delinea all’orizzonte è una grande incertezza mista a paura.
Mancano soprattutto idee e visioni per il futuro. Non a caso una buona parte della prossima edizione del Meeting di Rimini sarà dedicata ad imprenditori che hanno rischiato nuovi progetti e ‘costruito’ posti di lavoro. Hanno fatto della crisi una opportunità. E per fortuna non sono pochi.
Da dove ripartire? Nella sequenza iniziale della Dolce Vita di Fellini (reperibile su YouTube) si vede un elicottero che sorvola le borgate di Roma portando una grande statua di Cristo con le braccia aperte. È una scena indimenticabile, grazie alla quale il genio del regista riesce ad intercettare tanti fattori: dalla selvaggia trasformazione urbanistica, al permanere della devozione nel popolino romano, all’affermarsi di una generale distrazione (non ostile) verso il cristianesimo incarnata nell’atteggiamento del protagonista, Marcello Mastroianni. Quel volo non è frutto dell’invenzione di Fellini: il 1 Maggio 1956, sempre nei cieli di Roma. una grande statua di ‘Gesu divino lavoratore’ aveva sorvolato la città da Ciampino in direzione di San Pietro. Era stata imbarcata a Milano e proveniva da una grande manifestazione organizzata dalle Acli in Piazza Duomo. L’allora cardinal Montini aveva benedetto il bronzo dorato, opera di Enrico Neil Breuning che, tra aereo ed elicottero, fu fatta atterrare in piazza San Pietro, accolta da Papa Pio XII.
Di quella statua, che abitualmente è sistemata all’ingresso della sede delle Acli di Roma, si è tornato a parlare lo scorso anno perché comparsa alle spalle del Papa durante le messe mattutine di Santa Marta, proprio nei giorni intorno al 1° maggio. Lo stesso Francesco ha voluto indire uno speciale anno santo sino all’8 Dicembre dedicato a San Giuseppe: “Dove c’è un lavoratore, lì c’è l’interesse e lo sguardo d’amore del Signore e della Chiesa” ha detto Bergoglio.
I mesi che ci aspettano non saranno semplici. Ma nei momenti di sconforto potremo sollevare lo sguardo al cielo: vi vedremo passare un Cristo benedicente, lavoratore e Salvatore. E come i due muratori del film di Fellini salutarlo.
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