Difficile trovare materia di autoscoraggiamento come la cultura a Varese, nell’assunto scontato che “tanto, qui non c’è mai niente“. Ma è più segno di provincialismo l’autodemoralizzazione preventiva irriflessa che l’autoesaltazione pregiudiziale acritica. E può servire allora partire dai fatti anziché dalle opinioni preconcette, percorrendo almeno a grandi linee gli itinerari culturali varesini del recente passato, a far tempo dal Secondo Dopoguerra e nei decenni successivi, i più incisivi per la situazione odierna.
Così è stato fatto nel breve saggio che RMF pubblicherà prossimamente, e di cui qui s’accenna sommaria sintesi.
A partire dall’immediato dopoguerra post-Resistenza, quando a Varese si passò dall’effervescenza di riviste, circoli come il rinato “degli Artisti”, gallerie d’arte ed esposizioni di rilievo nazionale ed internazionale, all’impegno di singoli intellettuali in percorsi e produzioni individuali – da Chiara a Morselli, da Sereni a Modesti e Isella – con orizzonti e pubblico spostati altrove, verso la metropoli, e la percezione diffusa di un isolamento reciproco e di atmosfere circoscritte ed asfittiche, tipicamente “provinciali”. Sino al fatidico 1953 con l’abbattimento del Teatro Sociale a favore di un più lucroso condominio e l’eliminazione di tram e funicolare, ignorata futuribile prefigurazione di modernissima metropolitana leggera.
Nel frattempo tuttavia, sulla base di quegli stessi impegni individuali, venivano riconfigurandosi in città in senso moderno le principali istituzioni culturali locali, dal museo di Bertolone alla biblioteca di Giampaolo al liceo musicale di appassionati professionisti benefattori, pressoché senza merito per le Amministrazioni Comunali che si succedevano e che intanto vedevano Varese beneficiare dell’insediamento d’un presidio d’avanguardia nella Scuola Europea e dell’attivismo ad ampio raggio di Manlio Raffo all’Azienda Autonoma di Soggiorno come di Furia con la Cittadella di Scienze della Natura, mentre nel buen retiro di Velate operava silente Guttuso.
Il risveglio degli anni ’70 non solo ridiede linfa a confronti e dibattiti, ma fece soprattutto maturare le politiche culturali in capo al Comune, con il generoso protagonismo di singole personalità come l’assessore Caminiti e con la strutturazione consistente di specifici apparati tecnico-amministrativi e adeguati budget finanziari, sostenuti da copiose sponsorizzazioni di istituzioni bancarie ancora espressive di identità territoriali. La logica dell’effimero nelle manifestazioni culturali, sulla suggestione dell’Estate Romana di Nicolini con la moltiplicazione di eventi e stagioni artistiche ricche di spettacolarità, è stata posteriormente stigmatizzata come sperpero per il futile, mentre intendeva investire sulla contaminazione tra cultura “alta” e “bassa” e veicolare la qualità culturale attraverso modalità attrattive a coinvolgere tutti i cittadini, indipendentemente dalla condizione socioeconomica e dal livello di istruzione.
E in quella logica si sono formate le politiche culturali comunali anche, meritoriamente, a Varese: con le stagioni teatrale e musicale, i cicli di conferenze ed eventi letterari in biblioteca insieme al nuovo deposito sotterraneo ad assicurarne la capienza, le rassegne cinematografiche estive, l’istituzionalizzazione di eventi espositivi a cura del direttore Colombo in una con la duplicazione delle sedi museali tramite acquisizione del Castello Mantegazza per la pinacoteca. Nel mentre che il Liceo Musicale diveniva Civico con l’autorevolezza di Malipiero, e l’impulso tenace di Angelo Frattini portava all’avvio del Liceo Artistico e alla successiva autonomia, preziosa arena e lascito formativo dei principali artisti varesini. Né mancarono iniziative e progetti originali e innovativi rispetto al panorama nazionale, come l’invenzione del decentramento culturale col programma di divulgazione ed educazione permanente VareseCorsi. Altrettanto sul versante associazionistico, specie artistico-letterario, come per la deliziosa Piccola Fenice di Silvio Raffo, raffinata e longeva.
Molto muta alla svolta degli anni ’90. L’attività pubblica è sconvolta dal dopo-Tangentopoli, nel contesto socioculturale di vorticoso cambiamento per il rigetto collettivo delle ideologie alla caduta del Muro di Berlino e per l’incipiente globalizzazione, che dominerà i decenni successivi e il sopraggiunto Terzo Millennio con le ricadute di rivoluzione tecnologico-elettronica, pervasività della comunicazione digitale e virtualizzazione della realtà nei nuovi media. Si va formando la “società liquida”, in cui nulla permane ed i rapporti sono perennemente instabili ed aleatori, esasperando la differenziazione della fruizione culturale e delle preferenze soggettive, cui segue l’estrema frammentazione del pubblico, dei gusti e dei giudizi individuali e la conseguente contraddittorietà delle valutazioni di qualità, con il susseguirsi rapidissimo di mode dal respiro corto.
A Varese il turbine del cambiamento produce inizialmente positivi frutti di rinnovamento, con la creazione di nuovi eventi come “Amor di Libro” per un festival letterario a nuova spinta propulsiva, la ripresa di grandi mostre museali al Castello di Masnago ed il nuovo museo Castiglioni sull’archeologia africana, lo sviluppo consolidato delle stagioni musicale e teatrale di prosa, la nuova biblioteca per i ragazzi, i salotti letterari di Mauro Raffo, l’autonomia dell’università varesina coi frutti culturali di lungo periodo: sia per l’atmosfera studentesca sia per programmi e iniziative a favore dell’intera comunità, sino all’attuale Progetto Giovani Pensatori. Ancora, l’iniziativa privata lungimirante del FAI con l’acquisizione ed apertura museale di Villa Panza e relative grandi collezioni d’arte contemporanea. E l’associazionismo culturale continuava a brillare e prolificare.
Ma il rinnovato vigore si attenuerà negli anni 2000, per sfociare nel ripiegamento localistico della ricerca delle fantomatiche “radici” in un passato remoto/incognito da Festival di Terra Insubre, e scaturivano incidenti di percorso: innanzitutto per il teatro, dopo l’abbandono coatto della sede tradizionale al Cinema Impero, divenuto multisala all’inseguimento del pubblico perduto mentre chiudeva ogni altro cinema in città. In attesa della nuova sede stabile, l’impianto di un teatro-tenda delineava un apparato provvisorio durato così a lungo da sembrare definitivo, perdendo via via negli anni il pubblico della prosa ed inseguendo le preferenze commerciali di spettatori sempre più cangianti. Le iniziative espositive si riducevano man mano a quasi nulla, omaggio pedissequo alle famigerate norme finanziarie nazionali di restrizione di spesa per cui “con la cultura non si mangia”.
L’interpretazione penalizzante di altre norme inducevano all’esternalizzazione del Liceo Musicale e di VareseCorsi. A colpi di chiusure, si salvavano solo le librerie assorbite dalle grandi catene, si spegneva Amor di Libro e il Premio Chiara si trasferiva in provincia. E nemmeno veniva colta appieno l’occasione dell’ottimale strutturazione museale di Villa Panza, che veniva esclusa dal pur meritorio tentativo di costituzione di un circuito museale cittadino tra musei comunali e privati.
Un complessivo immobilismo, cui cercherà di far fronte l’ultima Amministrazione dopo drastico avvicendamento elettorale. Serviva innanzitutto portare a sistema iniziative e programmi: a partire dal censimento a tappeto dell’esistente pubblico e privato, il nuovo assessore Cecchi lancia il Piano per la Cultura Varese & Natura, dopo consultazione e partecipazione dell’associazionismo varesino, individuando nei valori paesaggistici il fulcro identitario della cultura cittadina e la fonte attrattiva di risorse e di pubblico. Il “paesaggio” è il frutto dell’arte trasformativa dell’uomo sulla natura, in armonia con essa e con la comunità insediata, e rimanda al percorso storico di Varese per produrre bellezza materiale e immateriale a servizio dei cittadini, tanto nel patrimonio istituzionale quanto nelle gemme dell’iniziativa privata. È il focus primario per ogni progettualità integrata con la realtà locale e i passi successivi ne conseguono, tanto nel livello istituzionale di musei e biblioteca quanto rispetto a manifestazioni ed eventi, oggetto di piani di sviluppo specifici.
Il museo archeologico ha progettato l’implementazione a sistema coi musei pubblici del territorio, che unifichi contenuti scientifico-tematici e presentazione immersivo-attrattiva multimediale del percorso espositivo insieme con tariffario e comunicazione, anche con il riattamento dell’Isolino Virginia; e nella sede di Villa Mirabello sta trasformando parte delle sale per l’ospitalità adeguata di grandi mostre, a partire dal Guttuso rivisitato in convenzione con la Fondazione Pellin. Il museo d’arte di Masnago ha ripreso il filo storico delle sue dotazioni, specie in relazione al collezionismo del territorio, per eventi espositivi sistematici che valorizzino anche gli autori locali che ne sono espressione eminente. Senza dimenticare il recupero del Castello di Belforte, monumento-simbolo per i periodi storici di riferimento e potenziale sede di “museo della città” e polo socioculturale di quartiere, cittadino e territoriale, per il quale i tentativi di ricerca di finanziamenti sono continui e continueranno, sin qui ancora infruttuosi ma provvisti di utili basi progettuali.
La biblioteca progetta un grande futuro con la nuova sede del polo culturale-bibliotecario alla ex caserma Garibaldi, specie per le attività di ricerca sui fondi storico-letterari ed archivistici insieme alle attività animative con nuovi spazi per ragazzi, studenti e giovani e socializzazione per tutti, nel mentre che amplia gli orari d’apertura e produce eventi di richiamo culturale a più dimensioni, letteraria come grafico-artistica, musicale, teatrale, cinematografica.
Le stagioni musicale e teatrale riprendono consolidandosi e rilanciano la prospettiva (finalmente) realistica e finanziariamente sostenibile della nuova sede teatrale stabile all’ex cinema Politeama, in convenzione con la proprietaria Fondazione Molina e revisionando adeguatamente l’accordo di programma con Regione Lombardia. La progettualità operativa della nuova struttura dovrà/potrà essere approfondita per realizzare una sede massimamente flessibile per tutti i tipi di spettacolo, danza ed opera lirica comprese, e di pubblico, sia ridotto sia di massa (sino alla capienza attuale del teatro-tenda), a favore dell’associazionismo locale specie professionale e pre-professionale.
Il Festival del Paesaggio Nature Urbane è divenuto nel frattempo la manifestazione emblematica della nuova impostazione: valorizzazione, mediante frequentazione guidata ed eventi-spettacolo simbolici, del patrimonio pubblico e privato di trasformazione del contesto naturale a servizio dell’insediamento umano secondo canoni di bellezza e armonia ambientale; dibattito collettivo, con il contributo delle forze sociali, per la qualità ambientale da preservare e realizzare; richiamo per cittadini e forestieri ad apprezzare l’identità di Varese come “città-giardino”. Le prime edizioni hanno delineato ma certo non esaurito il percorso, da implementare al meglio, anche in sintonia con i neonati Premi Furia e Pavan di rilievo scientifico-naturalistico.
Nei rapporti con le associazioni culturali, col nuovo regolamento dei contributi è stato creato un sistema organico e trasparente di sostegni economici a patrocini e partenariati, per favorire qualità e fruizione collettiva di programmi ed iniziative. Con effetti d’integrazione evidenti, come per gli eventi estivi 2020 nei parchi, pur in periodo di pandemia, che hanno composto in un programma unitario tutti i principali operatori culturali varesini in campo teatrale, musicale, cinematografico e artistico. Ed in questo contesto inclusivo ben s’inserisce la ripresa del rapporto collaborativo col rigenerato Premio Chiara e la sua ritrovata centralità varesina con la sede al Castello di Masnago.
Semi di futuro? Risposta fattiva al lamento sul vuoto culturale varesino. Ma con la consapevolezza che nulla va dato per scontato e che l’attività culturale cittadina sconta le originarie differenziazioni sociali e formative dei diversi segmenti di popolazione. A superarle non bastano le intenzioni: dal lato della produzione come della fruizione, la cultura di qualità fatica a superare il carattere elitario, d’elite e di elites per elites. Valutando quanto successo, a Varese come altrove non hanno avuto pieno successo né i tentativi di promuovere cultura democratica per tutti nello spirito post-resistenziale né di attrarre tutti ai contenuti culturali di qualità mediante il richiamo spettacolare dell’effimero, la cui contaminazione tra alto e basso in ottica egualitaria avrebbe dovuto arricchire chi dalla propria biografia socioformativa aveva avuto meno ed integrare con essi chi aveva avuto di più: i “Franti” e i “Pierini del dottore”.
La sfida di rimediare in età adulta alle carenze delle istituzioni scolastiche in età evolutiva non è stata ancora vinta dalle politiche culturali pubbliche, per quanto generose e innovative abbiano cercato di essere anche a Varese. Ma il dado è stato tratto e lanciato, perseverando cadrà prima o poi dalla parte giusta.
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