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Stili di Vita

OMBELICO CIVICO

VALERIO CRUGNOLA - 30/04/2021

piazzaTra la seconda metà degli anni ’50 e i primi anni ’90, Piazza della Repubblica è divenuta una delle piazze più brutte d’Italia. Nel trentennio successivo il brutto si è mutato in un enorme buco nero: un vuoto nel cuore della città, un punto di mero transito per veicoli provenienti dall’autostrada, un biglietto da visita così deprimente da scoraggiare ogni visita.

La socialità e l’animazione che caratterizzavano la piazza nel primo ventennio della democrazia repubblicana a cui era intitolata sparirono lentamente. Ad ogni caratteristica perduta corrispose un surplus di bruttezza e disfunzionalità.

L’apertura della via Manzoni iniziò le aggressioni architettoniche, presto estese ai due lati in accesso alla via Avegno. La scomparsa dei soldati di leva dalla Caserma avviò la decadenza dell’edificio. La fine del baby boom, la secolarizzazione e la diminuzione delle suore prosciugò in breve tempo l’asilo al Collegio Sant’Ambrogio. Due amministrazioni tangentopolate distrussero tutto lo spazio tra il lato destro della via Manzoni, la via Dazio Vecchio – salvo poche rimanenze – e la via Bizzozzero, demolendo il mercato coperto e gli storici cortili retrostanti. Sorse l’orrendo edificio delle Corti, che sarebbe meno orrendo se anche fosse solo coperto di ponteggi o pannelli pubblicitari, e che negli anni si è rivelato privo di attrattiva commerciale. Al suo fianco un altro orrore, il Teatro Apollonio, nato provvisorio ma sopravvissuto per circa un trentennio. Poco più lontano il Cinema Impero, un gioiello architettonico e di design, fu massacrato da un’avida trasformazione in uno squallido multisala. Il mercato fu sospinto nello squallore di piazzale Kennedy. L’elemento più scenografico e qualificante della piazza, il Monumento di Butti, fu privato della sua scalinata e di gran parte della retrostante quinta di cedri dell’Himalaia. Ridotto a coperchio di un accesso a un tetro, umido e angosciante maxiparcheggio, si è mutato in ultimo in un marginale ricovero di socialità tra emarginati. La bordura di alberi che accompagnava il rettangolo della piazza scomparve. L’Insubria decise di lasciare il centro cittadino per rifugiarsi in periferia. Un triviale dis/arredo urbano fatto di gradoni quasi insormontabili scoraggiò ogni attraversamento, e i corridoi all’ombra di incolpevoli gelsomini si prestarono a fare da nascondiglio per altra umanità marginale, priva di mondo e abbandonata a sé stessa perché così era più facile accusarla di ogni nefandezza per farne il capro espiatorio della propria insipienza politica, civile, amministrativa e anche umana.

In una parola, la piazza era un disastro urbanistico, un enorme spazio respingente, non percorso da alcun flusso vitale, che a Natale ospitava ridicole ruote panoramiche, e che risultava estraneo a tutti i suoi assi: verso il Politeama, le stazioni, piazza Monte Grappa, la Motta, Bosto e Giubiano.

Il masterplan megalomanico prodotto nel 2014 dall’amministrazione Fontana tentò di fare qualcosa, ma fu un aborto: affidato a dei dilettanti, si fondava su falsi presupposti, velleitarismi retorici o errori agghiaccianti, come l’edificazione di tutta la collina del Montalbano. Si pensò al recupero della Caserma, con un generico intento, suggerito dal PD, di farne un “polo culturale” (una terminologia propria del lessico del burocratismo di sinistra degli anni ’70), incentrato su un assurdo trasferimento della Biblioteca Civica. Il bando di concorso andò in porto, ma tocco poi gestirne gli esiti a Galimberti e Civati.

Questo era lo stato della piazza al momento delle elezioni nel 2016. Cinque anni dopo, i cambiamenti sono lentamente iniziati in mezzo a molti ostacoli imprevisti. Vediamo gli inizi di un cammino in corso.

Il disarredo urbano è stato rimosso.

Una volta concluso il consolidamento della Caserma sono iniziati i lavori sulle facciate e all’interno.

Il progetto di destinazione iniziale è stato corretto: vi sarà una biblioteca di nuova concezione, un Archivio del Moderno, sale per lo studio e la lettura, spazi per i bambini, la vita associativa e la socialità. L’edificio si aprirà per almeno due lati al pubblico. La via Spinelli scomparirà grazie all’allargamento della via Pavesi.

Il mercato è tornato da poche settimane nella piazza: vi sono piccoli problemi che vanno risolti, anche se vi è chi cerca di sollevare un clamore mediatico eccessivo rispetto alle dimensioni reali delle questioni.

La sistemazione della piazza sarà affidata all’Università di Mendrisio. La progettazione è in corso.

L’assetto del mercato e della piazza sarà definitivo solo quando, con l’apertura del nuovo teatro-auditorium dove ora sopravvivono i resti del Cinema Politeama, verrà demolito il teatro Apollonio e tutta quell’area verrà riqualificata ricucendola alla città con un nuovo mercato coperto e con riqualificazioni architettoniche anche volte a un ripristino ricostruttivo di quanto – in particolare i cortili – fu inopinatamente demolito. Varese può ospitare, altrove, un teatro privato: non ci sarà concorrenza, e se il futuro direttore e gli sponsor avranno acume potrà anzi esservi una fruttuosa cooperazione.

La collina del Montalbano resterà integra. L’Insubria sarà chiamata a fare la sua parte negli edifici che le competono. I rapporti tra l’università e l’amministrazione sono ottimi e la cooperazione reciproca è finalmente alta e la città comincia a risentire positivamente di questa sinergia, fino a Fontana rimasta un puro esercizio verbale.

Piazza Repubblica è complessa, problematica, disordinata. Nessuno ha la bacchetta magica per risolvere d’incanto, con un abracadabra, tutte le criticità, enormi o piccole che siano, che quello spazio pone e crea. Non è possibile, ovviamente, un intervento unico ed unitario, omogeneo e simultaneo. Si tratta di avere una visione coerente, che componga l’uno con l’altro i suoi comparti in modo da ottenere via via i risultati desiderati: l’omogeneità del centro città, oggi frantumato e senza coesione; la vivibilità; la socializzazione; i servizi offerti; la decenza architettonica; la gradevolezza e l’attraversabilità e permeabilità degli spazi, magari smembrandoli in sottopiazze; i vasi intercomunicanti lungo gli assi che entrano ed escono dalla piazza nelle varie direzioni, oggi impercorribili o non godibili.

Vi è un quinquennio per completare la riconversione dell’intera area e la ricucitura con le aree contigue, per affrontare nuove pedonalizzazioni e alternative viabilistiche e ulteriori linee di trasporti pubblici, per realizzare i grandi poli del Mercato Coperto e del Teatro-Auditorium, per facilitare i flussi vitali in una città meno amorfa, meno passiva, meno rassegnata e umiliata come era quella che l’Amministrazione Galimberti ha ereditato all’inizio del suo mandato.

Il sindaco riconfermato sarà chiamato a completare la discontinuità con il quarto di secolo berluscoleghista e a mettere a frutto la continuità con la grande mole e le ambizioni degli interventi intrapresi. Sul futuro di piazza Repubblica i cittadini varesini, e quelli dei centri limitrofi, sono chiamati a offrire fiducia e pazienza all’amministrazione in uno spirito di cooperazione attiva, di comprensione operosa e in un confronto serio senza con questo dover incendiare la prateria ad ogni piccolo conflitto.

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