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Società

CHIACCHIERE DA BAR

SERGIO REDAELLI - 30/04/2021

Van Gogh, “Terrazza del caffè la sera”

Van Gogh, “Terrazza del caffè la sera”

L’espressione chiacchiere da bar, vagamente denigratoria, bolla i locali pubblici come luoghi di inutili bla-bla. Nulla di più sbagliato. Spesso la storia, quella con esse maiuscola, è stata fatta nei locali pubblici. In qualche caso taverne, mescite e osterie, i luoghi di libagione con il loro campionario di tazze e calici, sono i depositari dei misteri dell’umanità. Tutto in fondo cominciò con una coppa, il Sacro Graal. Secondo la tradizione Gesù la usò nell’ultima cena, poi Giuseppe d’Arimatea vi raccolse il sangue che sgorgava dal costato di Cristo. Dove la coppa sia finita da quel momento nessuno lo sa. La cercarono Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda.

Federico II di Svevia la nascose forse nel palazzo ottagonale di Castel del Monte. Molti secoli dopo è arrivato a cercarla anche Indiana Jones. Ma il Sacro Graal è introvabile. Sui pubblici esercizi si è accesa in Italia la bagarre politica. Si litiga sugli orari del “coprifuoco” alle 22 dopo la riapertura seguita al lockdown. Da lunedì 26 aprile, in zona gialla, hanno riaperto i bar e i ristoranti a pranzo e a cena, solo all’aperto. Dal 1° giugno, sempre in zona gialla, bar e ristoranti potranno aprire anche al chiuso, ma soltanto dalle 5 alle 18. Multe pesanti, da 400 a mille euro, sono previste per chi non rispetta le regole.

È un’apertura parziale e c’è chi protesta: l’uomo del Papeete Salvini contro Letta, Meloni contro tutti. Questione di voti, chi vende meglio la propria mercanzia si accaparra vantaggi alle urne. Parliamo di una bella fetta di potenziali consensi. In Italia le aziende del settore erano 350 mila prima della pandemia, in gran parte piccole e piccolissime, con più di 700 mila dipendenti e sviluppavano 80 miliardi di fatturato. Un record in Europa. Per la Fipe, la federazione italiana dei pubblici esercizi aderente a Confcommercio, il settore ha perso solo nel quarto trimestre dello scorso anno 11,1 miliardi di fatturato rispetto allo stesso periodo del 2019. Mica briciole.

Antonio Polito sul Corriere della Sera ne fa una questione socio-politica, la destra tutela i ristoranti, la “colta” sinistra si batte più per i teatri e il pericolo di assembramenti più massicci è intorno ai tavoli apparecchiati: “Il passatempo di mangiar fuori – scrive – è decisamente più popolare e spesso più economico di andare a teatro. Nel nostro dibattito pubblico c’è sempre qualcuno così “impegnato” da non apprezzare la fatuità di una serata fuori a cena. In un Paese in cui si venerano gli chef come somma espressione culturale, ci si divide sugli osti, spesso bersaglio di ingiuste generalizzazioni, accusati di piangere miseria mentre eludono il fisco”.

Che mangiare “fuori” e sedersi al Caffé sia un simbolo dell’italian way of life che piace tanto all’estero è un dato di fatto. E che sia presidio di una cultura dello stare insieme è altrettanto vero. Lo è da sempre. La leggenda vuole che i cardinali che si sedevano al Caffè Greco di Roma diventassero papi. Accadde a Gioacchino Pecci, salito al soglio di Pietro con il nome di Leone XIII e chissà a quanti altri porporati. Il locale, aperto nel 1760, è giustamente famoso perché “anticipa” le decisioni del conclave. Ed è caro agli artisti. Nella “saletta omnibus” si sedettero Liszt, Stendhal, Wagner e Gogol. L’Unità d’Italia si fece combattendo, ma anche complottando nelle osterie e nelle taverne.

Il Caffè Cova di Milano, inaugurato nel 1817, fu ritrovo di patrioti dell’alta borghesia (le cosiddette “marsine”) e luoghi di riunioni carbonare furono la Checchina, la Peppina, il Boeucc ed altri locali meneghini. Un classico esempio di come la storia, a volte, si faccia al bar. Nel 1926 lo scrittore e giornalista Orio Vergani vi ideò il Premio destinato al miglior libro, raccogliendo le simboliche multe che faceva pagare agli scrittori che arrivavano tardi alle riunioni. Il ristorante Bagutta di Milano è stato a lungo sinonimo di trattoria letteraria. E dove potevano trovarsi a parlare dell’unità d’Italia Cavour, Rattazzi e Costantino Nigra, lontano da orecchie indiscrete?

Naturalmente al ristorante Cambio di Torino, dove il conte Camillo Benso è ricordato in un’allegoria. Il locale fu punto d’incontro gastronomico del Parlamento subalpino ed oggi, con i suoi velluti rossi e i raffinati menù, è tra i più famosi della città. A Venezia invece c’era un tempo la splendida residenza dei dogi Dandolo. Oggi basta il nome a dire tutto, Danieli, uno dei più affascinanti alberghi del mondo. Già nel ‘400, per la sua bellezza, lo si utilizzava per ospitare i personaggi in visita nella laguna. Poi diventò un albergo, anzi un mito romantico. Qui si amarono D’Annunzio e la Duse e, nella camera numero 10, esplose la passione tra George Sand e Alfred De Musset. Altri ospiti Wagner, Mann e Proust.

Come dimenticare La bottega del caffè e La locandiera, immortali commedie del veneziano Carlo Goldoni? L’Hotel Quirinale di Roma era l’albergo preferito da numerosi maestri del pentagramma. Ospitò Giuseppe Verdi dopo il trionfo del Falstaff, lo amavano Puccini, Toscanini e Caruso. Per dieci anni, il ristorante dell’albergo fornì i pasti a Pio XI. E nel 1934, Francis Scott Fitzgerald ne immortalò il bar nel capolavoro “Tenera è la notte”. Ma la cultura del bere e del mangiare insieme è altrettanto diffusa all’estero. Una notte stellata nel cuore di Arles, la veranda di un bar illuminata di luce gialla e arancione, pochi passanti, qualche avventore seduto ai tavolini.

È il capolavoro di Vincent Van Gogh Terrazza del caffè di notte ad Arles, il manifesto dei pubblici esercizi in tutto il mondo. Il Café de Flore e Les Deux Magots a St. Germain possono essere considerati la culla parigina del movimento esistenzialista nel primo ‘900. Vi si davano convegno con regolarità Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Albert Camus. Infine i Beatles. Le loro canzoni sono fitte di riferimenti ai pub di Liverpool e di Londra che John, Paul, George e Ringo frequentavano da ragazzi. Oggi quelle strade e quei locali, da Abbey Road a Penny Lane, dal Cavern allo Jacaranda, alimentano il ricchissimo mito dei Fab Four.

Ovunque una bella tradizione, questo è fuori discussione. Ma il Covid ha cambiato le carte in tavola. Molti cittadini hanno ancora paura ad accomodarsi ai tavoli e la notizia che il virus si annida nei bancomat e nei carrelli dei supermercati non aiuta a stare tranquilli. Tra gli addetti ai lavori c’è poi chi non è mai contento: “La chiusura tassativa alle 22 obbliga i clienti a prenotare per le 19 – brontola – questo ammazza le prenotazioni”. Già, è vero, bisogna stare ai minimi danni. Ma scagli la prima pietra chi è senza peccato. Quando tutto andava bene qualche esercente italiano spennava senza ritegno i malcapitati clienti stranieri facendo più danni del virus all’immagine dell’Italia all’estero. Mai generalizzare, ma qualcuno dovrebbe farsi un esame di coscienza.

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