L’impressione (piacevole) è che, in tempi tutto sommato brevi, la campagna negazionista ed anti-vax, abbia perso forza e che la popolazione italiana poco per volta abbia maturato atteggiamenti positivi e civili.
Terreno quindi oggi ancora più fertile per aggiornare le conoscenze sul tema. La disputa che ha ora più spazio sui media è quella sulla differenza tra vaccino e vaccino.
Il vaccino è un’arma ideale a nostra disposizione nei casi in cui le malattie non abbiano trattamenti specifici efficaci e consolidati. In questi casi la prevenzione primaria, cioè il vaccino, è la soluzione naturalmente migliore, meno costosa, direi ideale.
Scopo del vaccino è quindi quello di stimolare le nostre difese immunitarie in modo tale che un eventuale contatto con l’agente infettante determini una reazione di difesa per cui i danni causati siano nulli o minori rispetto la malattia.
La durata di questa difesa nei confronti dell’agente patogeno è diversa da malattia a malattia, da vaccino a vaccino. Solo il tempo in realtà potrà dare risposte esatte sul SARS Covid 19-2, ma quello che fino ad oggi si può dire, è che le attuali vaccinazioni danno una copertura probabile per circa otto-nove mesi.
Sappiamo che il nostro organismo per alcune malattie è in grado di produrre difese che rimangono tutta la vita (morbillo) per altre invece (tetano), hanno invece durata limitata nel tempo e richiedono quindi dei richiami vaccinali periodici per garantire la copertura protettiva.
Cerchiamo ora di spiegare meglio cosa contengono i vaccini.
Tutti contengono gli antigeni (che ricordiamo sono proteine riconosciute come estranee dal nostro sistema immunitario e specifiche dell’agente patogeno) degli agenti della malattia prevenibile.
Gli enormi progressi in campo farmaco industriale hanno portato alla possibilità di creare vaccini diversi oltre a quelli classici che possono essere o attenuati, cioè agenti vivi ma privi della loro componente patogena (come quelli ad es di morbillo, varicella, tubercolosi etc) o inattivati.
Questi ultimi a loro volta possono essere agenti interi uccisi, parti di componenti antigeniche (ad es proteine) oppure sostanze prodotte dagli agenti (tossine) ma rese inattive.
Tutti i vaccini contengono inoltre additivi, cioè sostanze che possono essere adiuvanti, cioè aumentare la risposta immunitaria oppure conservanti cioè con azione battericida o batteriostatica.
Per calarci nell’oggi il vaccino Vaxzevria (ex AstraZeneca) è un vaccino composto da un adenovirus di scimpanzè incapace di replicarsi e modificato per veicolare l’informazione genetica destinata a produrre la proteina spike del virus SARS Cov 19-2. La tecnologia del vettore virale utilizzata per questo vaccino non è una novità ma è già stata testata, con successo, per prevenire altre malattie (Ebola).
Le proteine spike, va ricordato, sono quelle sulla superficie del virus SARS Cov19-2 e sono una specie di chiave che permette al virus di entrare nelle cellule umane, nelle quali poi l’agente infettante si riproduce.
In questo modo il nostro organismo produce una risposta immunitaria che ci dota degli strumenti (cellule ed anticorpi) che in caso di contatto con il virus sono pronti ad intervenire e neutralizzarlo.
I nuovi vaccini a mRNA (Pfizer e Moderna) sono una ulteriore evoluzione dell’ingegneria molecolare ed in pratica sono molecole di acido ribonucleico messaggero (mRNA) contenenti le istruzioni per far sì che l’organismo che le riceve sia in grado di produrre cellule ed anticorpi in grado di rispondere ad un eventuale contatto con il virus. Anche queste difese hanno come obbiettivo quello di bloccare la proteina spike, la chiave del virus per entrare nelle nostre cellule.
In questo caso quindi non vi è una introduzione vera e propria di un virus ma solo l’informazione genetica che serve alla nostra cellula per produrre proteine spike.
L’mRNA del vaccino non resta nell’organismo ma si degrada poco dopo la vaccinazione.
Se si vanno a leggere le principali caratteristiche dei vaccini mRNA Pfizer e Moderna, pubblicati dall’Aifa nel gennaio 2021, si possono leggere moltissimi dati.
Vi sono riportate infatti composizione, nanoparticelle lipidiche, eccipienti, forma farmaceutica, indicazioni, somministrazione etc etc
Su quale dati vale la pena di puntare maggiormente l’attenzione?
Segnalerei l’efficacia clinica (94,1% per Moderna, 95% per Pfizer), la durata della conservazione (7 mesi a meno25/15 gradi M, 6 mesi a meno 90/60 gradi P), l’utilizzo a flacone aperto nell’arco delle sei ore (per entrambi) se chiuso ma decongelato 30gg M mentre 5 P (tra i 2 e gli 8 gradi).
La durata della protezione è indicata per M in due mesi con anticorpi per 4 mesi mentre per P due mesi con anticorpi per 2 mesi, la piena efficacia protettiva per M 14giorni dopo la seconda dose (42g dalla prima), per P 7 giorni dopo la seconda dose 28g dalla prima).
Il test sierologico invece nulla ha a che vedere con il vaccino. Serve infatti per misurare la presenza di anticorpi prodotti dal nostro sistema immunitario in risposta ad un contatto con il virus. Il test non dice se il soggetto ha una infezione in atto perché gli anticorpi compaiono con qualche giorno di ritardo rispetto ai sintomi. Il suo uso più utile è per valutare lo stato di immunizzazione di una popolazione o di un gruppo di persone.
Da dati relativamente recenti in questo momento sono allo studio altri 312 vaccini dei quali 39 su RNA (come Pfizer o Moderna) e 24 su vettore virus inattivato (come AstraZeneca). In fase clinica sono già 81 stando ovviamente a quanto è reso ufficiale.
Infine vale la pena di ricordare ancora una volta che la messa a punto di un vaccino nella storia dell’umanità ha richiesto mediamente dai 5 ai 10 anni di tempo.
Al netto di tutto ciò che sarebbe potuto andare meglio in tema di aperture, chiusure, prevenzioni, zone colorate, comportamenti, uso politico della pandemia, comunicazione etc etc, questo è un esempio eccezionale di come il genere umano collaborando e rendendo comuni le conoscenze abbia una straordinaria capacità di ottenere risultati fino a pochi anni fa impossibili, come produrre un vaccino ad un anno dalla comparsa dell’agente infettante.
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