Per la serie ‘Le due facce’. Il male, il bene, l’uno che può generare l’altro e idem. Prendiamo la vaccinazione. Disfunzioni, ritardi, topiche. Per non dire di peggio, qui in locazione padana. Cambiata marcia, e segnato il passo voluto dal generale all’Emergenza, la storia va modificandosi. Efficacia, competenza, garbo. Al punto da indurci a un’imprevista riconciliazione con lo Stato. Cedimento all’esagerare? Nient’affatto. Ecco una testimonianza de visu.
Qualche giorno fa, hub della Schiranna. Appuntamento a mezzogiorno, l’arrivo è con anticipo. Gli ex alpini indicano dove collocare l’auto nel parcheggio, fanno gli auguri, e concedono perfino la battuta sdrammatizzante: “Dai che la racconteremo, questa storia”. Dai che sì (gesto apotropaico). Piazzato il veicolo al suo posto, un’hostess s’affretta a segnalare l’ingresso al maxiaccampamento. Eccoci. Un sorridente benvenuto, i veloci controlli: temperatura, documento di prenotazione, tessera sanitaria. Cenno al percorso da seguire. Sono l’uno e il due: avanti seguendo l’uno. Un paio di svolte, poi frenata. Ci s’incolonna in uno spazio ampio, l’itinerario diventa a esse, con divisori blu tipo transennamento d’attesa aeroportuale. Ogni due metri una seggiola per chi volesse servirsene, nell’ipotesi di lungaggini.
Ma non ce ne sono. Militari dell’esercito e addetti alla protezione civile scandiscono, con sollecitudine cortese, i tempi di percorrenza verso le cabine di punturazione. Cabine tendonate, sotto il supertendone che protegge tutto. Sono disposte metà a destra e metà a sinistra d’un lungo corridoio. Alla chiamata degli addetti, il vaccinando s’accomoda fuori, aspetta che il vaccinato prima di lui esca, e finalmente va dentro: gli spetta il turno. Al dunque: “Prego, si sieda”. Ancora un sorriso. Epperò. Di fronte, un medico e due infermiere. Rapida anamnesi, informazione sui farmaci abituali. Ce n’è a sufficienza. Scoprire il braccio. Un po’ di più, sia collaborativo. Su, su, fino in alto. Ma certo, è che l’emozione… Un attimo a parlarne e un attimo a cogliere che, oplà, l’operazione si è conclusa. Lo testimonia il sentore d’alcol, accompagnato da un foglio con la data del richiamo. Bravo, bye: si accomodi qui fuori, qualche metro e stop. Un quarto d’ora, poi sarà libero.
Beh, che dire? Almeno grazie. Un’aggiunta: complimenti per quello che fate. Si rialzano i tre sguardi, già abbassatisi su carte e computer. Un attimo (a proposito di attimi) sorpresi: grazie a lei per queste parole. E la catena dei sorrisi si allunga. Ma che sta succedendo?
Siamo ai titoli di coda. Nella larga e spartana hall di sosta prudenziale -una quarantina di posti a disposizione- è il momento del distacco d’un tagliando che reca ora e minuto d’ingresso. Lo consegna la sovrintendente d’area con raccomandazione di restituirlo alla collega giù in fondo, all’uscita, trascorso il periodo di scongiuro dello shock anafilattico. Avrete capito che, anche qui e poi là, la gentilezza fa parte dell’arredo logistico. Della sinergia professionalità-volontariato. Al momento del congedo appare doveroso replicare i complimenti d’alcuni minuti innanzi. Analoga risposta: non si vaccina mai con sufficiente stupore. Non ci si vaccina mai a sufficienza dallo stupore.
Finisce così. Ma comincia una pensatina su cos’è quest’Italia quando, come si narra senza retorica, sa offrire il suo volto migliore. Roba di sostanza, mica di forma. Volto di solidarietà, orgoglio, organizzazione. Dopo un sacco di patemi, di malinconie, di sofferenza, toh, una sensazione di hubbandono alla solida fragilità. Che sia questa, più che Astrazeneca Pfizer Moderna, la fiala invisibile e d’effetto miracoloso per immunizzarsi dal Covid-19?
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