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Attualità

LA CAZZUOLA DI DIO

GIANNI SPARTA' - 23/04/2021

augusto-caravati-1216664-610x431Si chiude una brutta settimana: addio a Giovanni Pierantozzi, a Natale Gorini, ad Alfredo Corvi, ora ad Augusto Caravati. A un convegno organizzato da Ferruccio Zuccaro lo chiamai in pubblico “la cazzuola di Dio” per aver avuto in affido da don Pasquale Macchi la parte edilizia dei restauri delle Cappelle. Lui non si offese affatto. Anzi. Era orgoglioso d’aver avuto un ruolo nella stagione culturale più vivace di Varese. Che avendo venduto l’anima al diavolo del cemento negli anni del miracolo economico, doveva farsi perdonare qualcosa lassù dove una strada a ciottoli s’inerpica verso la montagna, raccontando agli uomini i misteri del Rosario.

Erano i primi anni ’80. Fosse stato per i pubblici poteri rappresentati dalla politica nulla di buono sarebbe accaduto nemmeno lì: le Cappelle del Sacro Monte già in rovina si sarebbero rovinate ulteriormente fino a deperire e a perdere significato. La Via delle fede e dell’arte, un testo unico del Seicento barocco, avrebbe assunto sembianze di reperto storico condannato ad abitare in un deserto. Ma arrivò un sacerdote di nome Pasquale Macchi e tutto cambiò. Forte dell’esperienza e delle relazioni costruite in Vaticano servendo papa Paolo VI, egli mise sottosopra il mondo della finanza e portò a termine in una decina d’anni l’immane restauro dei capolavori di Santa Maria del Monte.

Al suo fianco ebbe due uomini: Carlo Alberto Lotti ed Augusto Caravati, la mente e il braccio del salvataggio di quelle stazioni infarcite di affreschi e di statue, lo studioso e l’esecutore di un’operazione che venne realizzata in fretta e bene mettendo d’accordo le rognose sovrintendenze e suscitando ammirazione.

Aspetto imponente, in qualche caso burbero, sicura predisposizione alla generosità, Augusto Caravati ha legato indissolubilmente il proprio nome al Sacro Monte quando anni fa acquistò dalla famiglia di Giuseppe Zamberletti il vecchio albergo Camponovo volendolo trasformare in un luogo di aggregazione culturale.

Ha accumulato affari e ricchezza nella sua carriera il geometra diventato re. Mai avrebbe sventrato il vecchio cinema Impero, di sua proprietà, se le nuove regole di mercato non gli avessero imposto la formula del multisala. Una cosa gli è rimasta incompiuta: la monorotaia destinata a collegare in un balzo i due più autentici simboli di Varese, il lago della Schiranna e il santuario di Santa Maria del Monte. Il progetto degli anni ’60 fu approvato dal Comune e mai realizzato. Di tanto in tanto il plastico di quell’audace cremagliera con un trenino che la percorre andando su e poi scendendo giù viene esposto dal suo artefice. Tanto per ricordare un sogno nel cassetto. E per dire: io ci avevo pensato. Pazienza.

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