S’è vecc quand ca sa süta a guardà indré/opür quan ca sa viv par i regord,/s’è vecc quand sa gh’ha dent dumà rimpiant/o quand ca sa turmenta in di rimors…/Guardemm in gir: gh’è inturna un mücc da gent/giuvind’età…ma ch’hinn già vecc da dent!
Questo è l’inizio di ‘Vecc…o giuvin’, una delle più belle poesie di Natale Gorini, vincitrice del concorso Poeta Bosino 1993, e questo vuol essere l’inizio del mio ricordo di Natale, un amico, un ‘collega’ poeta, un personaggio varesino al quale devo una parte di amore per la mia città, la mia terra, il dialetto, le mie radici.
La poesia citata nacque stimolata da una predica di don Ferdinando Citterio, durante una Messa per i coscritti del ’28 a Villa Cagnola di Gazzada. Il prelato ricordava le tre erre che rendono vecchi (ricordi, rimpianti e rimorsi), invitando a tener presente che ad ogni età può arrivare il bello della vita. Un invito che Natale colse al volo, trasformandolo in una poesia vincente.
Gorini arrivò non prestissimo nel mondo letterario varesino. Classe 1928, padre bagàtt (calzolaio) prima in proprio poi al Calzaturificio di Varese, nativo della Prima Cappella, scese a Sant’Ambrogio come residenza, in città come lavoro (Maestro del Lavoro, 40 anni di attività in un’Azienda di Pubblici Servizi), distinguendosi fra gli amici dell’oratorio santambrogino per la sua arguzia, le sue barzellette, le sue abilità da attore dialettale: un fisico adatto al ruolo, nato per declamare il dialetto, affabulatore di provincia, un viso caratteristico, in grado di generare umorismo al solo vederlo.
Aveva cinquant’anni quando, nel 1978 partecipò al concorso Poeta Bosino arrivando secondo con la poesia ‘La toppa’. Da lì in avanti fu un’apoteosi, almeno per ciò che riguarda la poesia: prima vittoria nel 1981 con ‘I lüüs da Natal’ e poi altre sei vittorie, nove secondi posti, tre terzi posti, nessuno meglio di lui, nemmeno Nino Cimasoni. Era nato il nuovo Speri della Chiesa Jemoli. Parallelamente andava avanti la sua carriera di attore, nel gruppo Teatro della Famiglia Bosina: un vero mattatore. Nel 2006 la Famiglia Bosina gli tributò il massimo onore cittadino, assegnandogli la Girometta d’Oro. Raggiunta l’età della pensione, Gorini partì alla grande, dedicando tutto il suo tempo libero alla poesia, al teatro, alla pubblicazione di libri, fra i quali ricordiamo ‘Bosinate’, ‘Ann da gübèll’, ‘Pinocchio’ tradotto in dialetto. Spesso il poeta (assomigliava al giornalista Antonio Lubrano, tanto che una volta in aeroporto gli chiesero l’autografo!) lavorava in collaborazione con Clemente Maggiora. La loro affezione per Varese e la sua linguamadre permise di dare alle stampe nel novembre del 1996 ‘I nost paroll’, parolario bosino, aggiornato nel 2003, una vera Bibbia per gli amanti del nostro dialetto.
Nel 1993 Gorini, sessantacinquenne carico di vita, diede seguito ad un’intuizione del giornalista Pierfausto Vedani, probabilmente informato dallo stesso Gorini in merito all’esistenza di un tale Re Bosino che, nei giorni del Carnevale, arrivava a Varese in treno e riceveva le chiavi della città, diventando il sovrano pro tempore del borgo prealpino. Perché non rinnovare quella tradizione? Vedani lanciò l’amo, Gorini abboccò con grande piacere, diventando il novello Re Bosino, scettro e corona che portò per un ventennio. Memorabili i suoi discorsi alla città, da piazza Monte Grappa o dalla loggia di piazza Repubblica, il sabato grasso, al termine della sfilata dei carri allegorici.
Le nostre strade si incrociarono nel gennaio del 1995. Avevo partecipato al concorso Poeta Bosino con la poesia ‘Rusari d’un vecc’, l’anno prima aveva vinto Gorini con ‘Vecc…o giuvin’, toccò proprio a me subentrare sul gradino più alto del podio. Natale mi fece i complimenti, seppi che abitava nel mio stesso quartiere, lui nella parte alta, via Casluncio, al colmo della collina dei Barù, dove mio padre da ragazzo correva, si arrampicava sugli alberi da frutta, spiava dentro Villa Toeplitz per vedere i signori Toeplitz. Cominciai a seguirlo da vicino, lo intervistai più volte. Due anni dopo, quando vinsi per la seconda volta il concorso con la poesia ‘Nott da San Lurenz’, mi regalò una copia del Parolario Bosino appena uscito nelle librerie, con la dedica: ‘A Carlo Zanzi, primo Poeta Bosino della nuova generazione’. Nel 2002 mi volle, insieme a Clemente Maggiora, per un incontro a Palazzo Estense su ‘Speri della Chiesa Jemoli e il suo tempo’.
Sul limitare degli ottant’anni vinse per l’ultima volta il concorso Poeta Bosino con ‘La balanza’: era il 2007. E cinque anni dopo, nel giugno 2013, fresco ancora di memoria e di parlantina, gentilmente contribuì alla presentazione del mio libro ‘Valzer par Varés’, recensendo le poesie in dialetto. Gli venne assegnata una parte anche nel film ‘Il pretore’, un ruolo minore quando lui avrebbe potuto offrire ben altra e più corposa interpretazione. Abile nelle poesie ‘serie’, Gorini era un talento impareggiabile nelle bosinate, liriche a carattere satirico-umoristico, che rendeva ancor più gustose grazie alla sua magistrale interpretazione. Sarebbe lungo l’elenco, mi piace però citare ‘Ingegneria genetica’, cioè l’ingegneria applicata all’orticoltura: quale meravigliosa invenzione sarebbe un’unica pianta con radice di carota, gambo di sedano e foglie di prezzemolo?
Pezzo da novanta del Cenacolo dei Poeti e Prosatori dialettali della Famiglia Bosina, Gorini negli ultimi anni lo si vedeva raramente. Il nostro ultimo incontro fu a Villa Toeplitz qualche mese fa, sedeva su una panchina, forse mi riconobbe o forse no, ci salutammo. Era del ’28 come mia mamma, e come da lei ho imparato ad apprezzare Speri della Chiesa Jemoli (leggeva a noi bambini i Buoni Villici) così con Natale ho ritrovato in carne ed ossa quel poeta varesino. E proprio col dialetto voglio concludere questo veloce e sentito ricordo, riprendendo il finale della poesia dell’introduzione. Certo gli ultimi anni non sono stati per Gorini il bello della vita, ma posso affermare che da quando l’ho conosciuto personalmente (aveva allora la mia attuale età) e anche prima Natale Gorini ha saputo cogliere il meglio da una persona, da un fiore, da un animale, da una situazione, da un ricordo, regalandoci parole scritte e orali che ci hanno aiutato a sorridere e a riflettere.
Femm mia tropp caas sa perd i culp ul cöör,/se’n’oss al cria o gh’è quaicoss ca döör,/se chi gh’ha anmò i cavei diventan griis,/ciara la barba e smuntan i barbiis…/L’è inütil rivangà quell ca l’è stai:/i robb passaa nissün po’ pü cambiai!/S’è giuvin quand sa sütta mia pensà/ch’hinn sempar menu i ann ch’hemm da scampà,/s’è giuvin quand ca s’è ancamò curius,/quand gh’è quaicoss ca pias, quand s’è gulus,/quand ca sa god d’un fiur ca sa derviss,/opür di stell d’ra nott ca sbarlüsiss,/s’è giuvin quand sa giüga cu’n neudin,/o quand sa güsta ‘l cant d’un passarin./E i giuvin vann innanz…guardan luntan,/penser, prugett, speranz par ul duman…/E alura, parché hemm mia da pensà/che ul bell d’ra vita…al po’ ancamò rivà?
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