Resistenza – di cui il 25 aprile ricordiamo il lungo periodo nato durante il fascismo – non è stata solo la lotta contro la dittatura, ma è pure un atteggiamento interiore che anima colui che resta fermo sui principi in cui crede e sull’insegnamento delle grandi figure che l’hanno incarnata e che oggi tutti dovremmo rinnovare. La Resistenza non è stata solo conflitto, è stata l’attesa di mogli e di madri che hanno aspettato il ritorno di mariti e figli da terre lontane, è stata la fiducia che ardeva nei cuori dei figli di abbracciare il padre di ritorno dai campi di concentramento, è stata la ribellione di chi non si è rassegnato a vivere i giorni della rivalità, è stata la speranza, che non ha mai cessato di affievolirsi, di giorni nuovi in cui concordia, giustizia, solidarietà avrebbero prevalso sull’odio e sul rancore.
Questa capacità di resistenza ci è chiesta di vivere in questi giorni di pandemia che ci costringe a restare isolati, a non aver relazioni con le persone, ai giovani di non poter fare sport non solo a scopo ludico, ma per incontrarsi, per confrontarsi e misurarsi, ai bambini e ai ragazzi di imparare a scuola il duro mestiere di vivere, ai commercianti, agli imprenditori, agli operai di non poter lavorare non solo per produrre, consumare e investire nella finanza, ma per contribuire tutti assieme a far crescere il Paese, in modo tale che il lavoro sia fonte di progresso sociale e civile.
Dopo la guerra tutto era da ricostruire: le fabbriche, le scuole, gli ospedali, le case, le strade, i ponti, le ferrovie. E non c’era cibo. C’erano molte ferite da rimarginare e molte divisioni da colmare. Ma c’era molta speranza, voglia di rimboccarsi le maniche. Non voglio fare paragoni tra l’Italia distrutta dalla guerra e l’Italia di oggi affranta che non ha potuto salutare per l’ultima volta i nostri cari, per i malati che intasano le terapie intensive, per i senza lavoro, per le famiglie ridotte a chiedere assistenza per poter sfamare i figli. Anche oggi c’è molta sofferenza, ma meno speranza.
La liberazione che ricordiamo il 25 aprile era la cacciata del nazi-fascismo, era il riscatto di un popolo e in quel giorno ci fu grande festa. Fummo aiutati dalle truppe alleate per riconquistare la libertà. Era la libertà “da”. Tre anni più tardi entrò in vigore la Costituzione che ci ha donato la libertà “di” garantire i diritti inviolabili dell’uomo, di circolazione, di pensiero, di associazione, di avere un lavoro, di avere la salute tutelata, una scuola obbligatoria e gratuita per tutti…
La Costituzione è nata dalla Resistenza: per renderci tutti uguali di fronte alla legge, responsabili del bene comune che coincide con la giustizia sociale, solidali verso i più bisognosi. Ed invece abbiamo assistito, specialmente in questi ultimi decenni che il bene comune è stato spesso identificato con quello del gruppo, del partito, del territorio, della propria categoria; ci hanno fatto credere che ricchezza, benessere e felicità fossero la stessa cosa, che il lavoro fosse al servizio del profitto e che esso debba trasformarsi in danaro, come se quest’ultimo non dovesse, invece, essere usato per creare nuovo lavoro.
Quando torneremo alla normalità, quando la pandemia sarà stata sconfitta, dovremo ricostruire un’Italia diversa. Oggi ci aprono gli occhi i numeri e le statistiche degli ammalati e dei morti, il tasso di contagio; domani dovremo fare i conti con i numeri del prodotto interno lordo fortemente ridotto e con quelli del debito pubblico fortemente accresciuto. Quando ci accorgeremo che il calo demografico è crollato, allora sarà bene ricordarci che, assieme ai medici e agli operatori sanitari, veri eroi di questa calamità, ci sono stati i vili negazionisti per i quali non valevano i fatti, ma solo l’uso strumentale della loro malsana ideologia per spargere il dubbio, che è un male peggiore del virus; non dimenticheremo i politici che si sono alleati al potere economico con menzogne alterando i veri dati del contagio pur di salvare un apparato produttivo al servizio della finanza e non dell’uomo; e non potremo perdonare coloro che hanno lucrato nell’acquisto del materiale sanitario o di coloro che hanno favorito i “furbetti”; e non ignoreremo le voci discordanti della comunità scientifica che, pur di apparire sugli schermi televisivi, hanno azzardatamente pronunciato pareri che si sono dimostrati totalmente infondati.
Verrà l’ora della ricostruzione. Mario Draghi, aprendo il 41° meeting di Rimini nell’agosto scorso, ha detto: “Il deficit e il debito sono cresciuti a livelli mai visti in tempo di pace”. Questo debito, ora indispensabile per la difesa delle famiglie, delle imprese, delle istituzioni sarà sopportabile se sarà impiegato per ripartire. Come nel dopoguerra il “piano Marshall” aiutò i paesi stremati dalla guerra, oggi l’Unione Europea è corsa in soccorso di tutti i paesi membri mettendo a loro disposizione 390 miliardi di trasferimenti e 360 miliardi di prestiti. È giusto sottolineare che è l’Unione – e non i singoli stati – a indebitarsi, riconoscendo così l’interconnessione tra le economie dei Paesi membri.
Questo piano – chiamato Next Generation EU - è destinato alla transizione ecologica: per l’Italia potrebbe essere l’efficientismo energetico, l’incentivo della mobilità sostenibile, l’ “acciaio verde” prodotto dall’ILVA con la creazione degli impianti per la chiusura del ciclo dei rifiuti; per la digitalizzazione; per l’ istruzione che è la priorità assoluta a cui conferire risorse per la formazione e l’aggiornamento dei docenti e per un piano integrato di edilizia scolastica che metta in sicurezza le nostre scuole; per il lavoro soprattutto per i giovani; per le riforme di sistema che riguardano la giustizia sociale, la riforma fiscale, la revisione delle concessioni statali.
Non si conoscono i progetti che l’Italia deve sottoporre all’approvazione dell’Europa entro la fine di aprile. Sappiamo che il Piano EU è un fondo per gli investimenti per modernizzare il Paese e non per le spese correnti. Sappiamo inoltre che il nostro apparato burocratico può generare un eccessivo dispendio e una dispersione di risorse. Contiamo sulla competenza, l’esperienza e l’onestà del presidente Draghi perché vigili costantemente sui progetti.
Con la libertà sognata e conquistata arrivata nel dopoguerra, il Paese si è trovato possessore della più preziosa moneta in mano. Bisognava spenderla, farla fruttificare con sacrificio, con impegno, con abnegazione. Oggi è sopravvenuto un periodo carico di terribili responsabilità. La moneta di cui oggi disponiamo ha due facce. Da una parte la Serietà dei politici, dall’altra la Coesione dei cittadini. Solo con queste, potremo ricostruire il Paese. Non basta sconfiggere il virus, ma occorre liberare ogni giorno le donne e gli uomini a maturare il senso di responsabilità nella fraternità. Su questo siamo chiamati a meditare il prossimo 25 aprile.
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