Tutte le città si modificano profondamente nel tempo. Da sempre siamo testimoni di trasformazioni che cambiano radicalmente i nuclei urbani, per far fronte a sfide determinanti per la loro stessa sopravvivenza, con nuove esigenze culturali, sociali, economiche e ambientali da affrontare. Anche Varese, dopo decenni di sonnolenza, non è esclusa da questo processo, in un delicato equilibrio tra storia, identità e nuove esigenze. Una strategia in cui si inseriscono a pieno titolo i temi della riqualificazione e rigenerazione urbana, per far sì che zone un tempo attive, funzionali e centrali nella vita produttiva e oggi diventate “non luoghi”, tornino ad essere àmbiti di convivenza comunitaria finalizzata allo sviluppo della città oltre che alla conservazione della sua cifra storica.
Esempio di questo processo è il progetto di recupero di un edificio storico come la ex Caserma Garibaldi, che dopo anni di discussioni si appresta finalmente a diventare un polo culturale, ospitando una sede dell’Archivio del Moderno di Mendrisio, una biblioteca per bambini e ragazzi, spazi per la socialità giovanile e per eventi interattivi. L’archivio del Moderno insieme con le dotazioni culturali che saranno presenti costituisce il più significativo intervento municipale su un bene da rigenerare a scopo pubblico. Raccogliendo alcuni degli archivi più importanti di architetti, ingegneri e designer, questa istituzione vivacizzerà ulteriormente la cultura, la creatività e darà un volto ancora più internazionale della città.
Con la realizzazione di uno spazio destinato al mercato coperto in piazza Repubblica si recupera un altro luogo centrale che sembrava ormai perduto e consegnato a fenomeni pericolosi per la sicurezza di tutti. Sembrava impossibile e invece i primi segnali evidenziano che l’innovazione riscuote consenso popolare.
Discorso analogo a proposito dell’ex Cinema Politeama, con il recente avvio del progetto di recupero e conservazione dello spazio storico affinché possa ospitare il nuovo teatro cittadino. Fu uno dei primissimi luoghi di condivisione artistico-culturale della città, sopravvissuto alla demolizione e che deve essere recuperato, ampliato e soprattutto utilizzato. Lasciarlo abbandonato a se stesso è un vero spreco, e soprattutto le verifiche sino ad ora effettuate dimostrano che è la soluzione più conveniente.
In altri casi, come l’intervento all’ex Enel di viale Belforte, l’ex Fonderia Galante di via Bainsizza o l’ex segheria Fidanza in via Carcano, rigenerare significa dare una connotazione totalmente nuova allo spazio edificato, passando attraverso la demolizione di aree industriali abbandonate da tanti anni, per ricreare, senza consumare suolo libero, vita cittadina là dove oggi ci sono solo degrado, abbandono, tristezza e tante altro che a ciascun cittadino (in particolare a chi abita vicino) suscitano quei luoghi solo passandoci davanti. Nella maggior parte dei casi si tratta inoltre di aree di grandi proporzioni, che costituiscono delle vere e proprie barriere in grado di isolare interi quartieri. Gli interventi qui hanno pertanto valore non solo per la capacità di rendere più attrattive le zone, ma soprattutto per ricreare connessioni con il resto del nucleo urbano.
Un modello esemplificativo di questo processo è dato dalla grande rigenerazione del progetto di Porta Garibaldi a Milano: dove sorgevano edifici e aree industriali dismesse, oggi campeggiano strutture totalmente nuove, edifici commerciali, complessi residenziali, percorsi pedonali e aree verdi che hanno profondamente cambiato il volto e il ruolo della zona, diventata più vivibile e connessa con le aree circostanti.
Alla base di questo cambiamento c’è la visione di una città viva, in grado di modificarsi e portare a nuova vita quartieri abbandonati, risolvendo l’insostenibilità di costruzioni che sono spesso diventate ossature di vecchi stabili non più connessi al territorio e alla vita della comunità.
E’ questo l’esempio della ex Aermacchi, dove dopo decenni di totale incuria, abbandono, oblìo anche della memoria storica del luogo ci si appresta a rigenerare e bonificare l’area, con nuovi edifici dedicati allo sport e al commercio, aree verdi, percorsi pedonali, riportando soprattutto connessione tra due zone della città separate da decenni da un complesso industriale che ha fatto la storia dell’industria del nostro territorio e del Paese ma che è da tempo malsano, inaccessibile e che non rende onore al glorioso marchio Aermacchi.
Per la formazione giuridica e soprattutto per il pragmatismo maturato in questi anni di amministrazione ritengo che nel programmare un futuro di una città serva tanto coraggio nel praticare ed attuare i princìpi (in questo caso della qualità ambientale ed urbana) che per abitudine e serietà tendo a non pronunciare a caso, ma sempre con grande ponderazione.
E nel parlare di rigenerazione e recupero ritengo essenziale e preferibile recuperare uno spazio come il Politeama per realizzare il nuovo teatro cittadino o il Castello di Belforte per ridare alla città un bene che ricordi la storia ed il prestigio del luogo e che non merita lo stato in cui versa anziché pensare di dover conservare, per forza, i fabbricati dell’Aermacchi che fino ad oggi non hanno ancora avuto alcuna attestazione che certifichi il loro valore architettonico.
Penso sia urgente recuperare quello spazio sotto il profilo ambientale e urbanistico attraverso la conservazione della memoria ma nelle forme moderne, senza ostinarsi a mantenere in piedi strutture che hanno le fondamenta nel letto del Vellone, prive di quella valenza architettonica che dovrebbe giustificarne la conservazione e che rischiano solo di impedire il recupero della dignità per l’area e il circondario. Bisogna a mio giudizio misurare le esigenze senza che prevalgano gli estremismi ma permanga la necessità di far vivere l’area ed al contempo garantire a tutti coloro che entreranno nella nuova area ex Aermacchi di respirare l’importanza del luogo ed essere consapevoli di dove si trovano. Io ho l’impressione che nessuno oggi passando davanti a quei muraglioni di via Crispi e via Sanvito riesca a percepire la presenza e l’importanza della gloriosa azienda che ha dato lavoro a migliaia di famiglie. Per ridare dignità a quel posto serve coraggio anche intellettuale nel valutare bene tutti gli interessi pubblici in gioco.
Credo d’aver dimostrato in questi anni di non essere un amante della ruspa, avendo portato avanti progetti di recupero importanti (Caserma, Politeama, villa Mylius eccetera) e volendo proseguire questo percorso (Castello di Belforte, la ex scuola De Amicis di Valle Olona per riportarvi all’interno persone che si vogliono formare). Mi schiero dunque tra i coraggiosi che vogliono attuare pienamente i principi della rigenerazione e ricordare davvero la memoria storica del luogo nelle forme di conservazione che sappiano contemperare i diversi interessi in campo.
Stupisce poi che solo ora che ci si appresta ad attivare una nuova vita per la zona, a cui va aggiunto l’importante intervento di bonifica, si risvegli l’interesse per gli stabili abbandonati. Forse la riflessione da fare è che un edificio dovrebbe essere considerato di valenza architettonica a priori, e non solo nel momento in cui ci si appresta a intervenire, accendendo un dibattito tardivo.
Un sindaco che va al voto tra pochi mesi mai avrebbe scritto questo articolo ma come sa bene chi mi conosce sono abituato a dire sempre ciò che penso e cerco di fare sempre ciò che dico.
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