Lord Filippo Mountbatten, compianto sposo della regina d’Inghilterra Elisabetta II, serenamente defunto nel castello di Windsor due mesi prima di compiere cento anni di vita e settantaquattro di matrimonio, era un habitué dell’Italia. Tra gli oltre 22 mila eventi a cui si calcola che abbia preso parte, volente o nolente, per i doveri di principe consorte, di certo apprezzava gli inviti alle battute di caccia. Lepri, fagiani e pernici lo attiravano non meno dei numerosi amori che il gossip reale gli attribuisce. A Rocca de’ Giorgi, sulle colline nell’Oltrepò Pavese vicine a Stradella, capitale della fisarmonica e patria di Agostino Depretis che fu tre volte presidente del consiglio alla fine dell‘800, i conti Giorgi di Vistarino lo ricordano bene.
“Una persona dall’eleganza tipicamente inglese, cordiale e simpatica – spiega la contessa Ottavia riferendo i racconti dal padre Carlo – Mi hanno detto che si divertiva a scattare fotografie del panorama, degli ospiti, dei guardiacaccia. Preciso fino al puntiglio. Lo insospettiva la micidiale mira di mio nonno e volle smontare una cartuccia del suo fucile per vedere quanti pallini contenesse”. Sagace e guardingo, il duca di Edimburgo non si smentiva mai. Era celebre per le battute pungenti, talvolta razziste e politicamente scorrette. Un campione di humor britannico anche se lui, nipote di re Costantino, era di origine greca e il nome Mountbatten deriva dal cognome materno Battenberg.
Con l’Italia aveva un’antica frequentazione. Fin da quando, in servizio nella Marina di Sua Maestà, si era distinto nella battaglia navale di Capo Matapan contro le nostre navi. Nel dopoguerra era venuto a Torino in occasione dell’Expo 1961 incontrando Gianni Agnelli, si era arrampicato nel Parco Nazionale d’Abruzzo per vedere gli orsi marsicani con l’amico Fulco Pratesi. Era ritornato per un concerto di Riccardo Muti alla Scala di Milano e in visita ufficiale a Roma, ospite del presidente del consiglio Giuliano Amato facendosi riconoscere per una battutaccia, forse involontaria, delle sue. Di fronte a un calice di pregiato vino italiano, aveva storto il naso e chiesto una birra.
A Rocca de’ Giorgi fu ospite nel 1960. Qui la caccia è un’antica tradizione insieme alle vigne di pinot nero, battute all’inglese per alzare fagiani e pernici, mute di cani per stanare le lepri. Dormì nell’alcova della settecentesca villa Fornace, la suite più spaziosa. L’edificio sorge sulle fondamenta di una fornace di mattoni al centro del parco disegnato da Achille Majnoni, l’architetto personale del re d’Italia Umberto I che legò il proprio nome alla villa Reale di Monza e a villa Monastero a Varenna, sul lago di Como. Le sale interne hanno volte decorate e pavimenti originali. Il maestoso salone d’onore, a doppia altezza, ha il soffitto impreziosito da stucchi e ornamenti.
Nel parco la contessa Anna fece costruire l’Orangerie all’inizio del ‘900 per conservare le piante in inverno. Le cronache ricordano che il conte Ottaviano Giorgi di Vistarino, Gigetto Medici e Vittorio Necchi avevano invitato il duca a trascorrere una vacanza nelle rispettive riserve nell’Oltrepò Pavese, alla Portalupa di Gambolò e alla Mandria di Venaria, l’ex tenuta del re Vittorio Emanuele II in Piemonte. E lord Mountbatten aveva accettato con entusiasmo. Vecchie foto in bianco e nero immortalano l’allora giovane duca in tenuta da campagna con scarponi, calzettoni e pantaloni rimboccati, attorniato dagli amici pronti a imbracciare le doppiette.
Il padrone di casa, nonno di Ottavia, gli aveva riservato la suite per ragioni di sicurezza e volle che un funzionario della Questura stazionasse in pianta stabile fuori dell’uscio. Nelle foto a cui si concesse in quei giorni si riconoscono il segretario privato ammiraglio Christopher Bonham Carter, Leo Biagi de Blasis e il conte Ottaviano. Sullo sfondo, la brughiera pavese in una fresca mattinata invernale. Una vecchia Fiat 600 Multipla, bicolore, attende la comitiva per trasportarla lungo le bianche strade sterrate fino alle radure di caccia. Lord Mountbatten si divertì molto e ritornò altre volte a Rocca de’ Giorgi, luogo del resto ospitale con principi e regnanti.
Vi hanno soggiornato la principessa Iolanda di Savoia, Bernardo d’Olanda, Simeone di Bulgaria, i principi d’Assia e il re di Spagna Juan Carlos di Borbone. In mezzo alla campagna pavese il duca di Edimburgo non aveva problemi di etichetta di corte, che lo infastidiva, forse perché sposare Elisabetta gli era costato parecchio in termini di amor proprio. Aveva dovuto abbandonare la religione ortodossa per aderire alla Chiesa anglicana, rinunciare al titolo di principe di Grecia e Danimarca e rassegnarsi a non poter dare il proprio cognome ai figli, che non potevano non chiamarsi Windsor. Tanto da uscirsene con la battuta “se non posso neppure dare il mio nome ai figli sono solo una fottuta ameba”.
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