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Cultura

TEATRALCRACK

VALERIO CRUGNOLA - 16/04/2021

VARESE CINEMA TEATRO POLITEAMALa sigla di un buon accordo tra il Comune e la Regione è un primo passo per realizzare il futuro Teatro-Auditorium di Varese nell’area oggi occupata dall’ex cinema Politeama.

I passi successivi, ben più rilevanti per l’esito finale, sono tutti da decidere. Il rischio di errori irrimediabili nella fase più delicata c’è. L’opportunità è grande e non si devono fare puttanate. La fretta elettoralistica è una pessima consigliera. I futuri estensori del bando (il sindaco e i tecnici che a lui rispondono) devono avere idee chiare, razionali e ponderate, e devono ascoltare con umiltà architetti esperti, spettatori avvertiti, specialisti di eventi musicali e teatrali di alto livello lontano dai rumori della provincia profonda.

Ci accingiamo a porre mano a un’opera durevole, che deve avere caratteristiche così flessibili da poter permettere alla struttura di adeguarsi ai mutamenti futuri nell’approccio agli spettacoli, oggi non ben prevedibili.

Qui sottopongo alla discussione un parere che nasce dall’aver seguito da vicino, negli ultimi anni, il percorso che ha portato all’accordo e da lunghe conversazioni con amici che si occupano professionalmente di architettura e che studiano cosa si fa in giro per il mondo.

Per Davide la domanda è: “Voglio un teatro purchessia, che mi dia slancio per ricevere un secondo mandato, perché molti elettori diranno “Caspita, quanto sta dandosi da fare Galimberti!”, oppure evitare di sentirsi dire, la sera della prima e gli anni a venire, “Ma che cagata di teatro ha fatto il Galimberti?” Vuole la qualità o il mediocre che fa colpo carezzando il pelo agli elettori pià faciloni e di bocca buona? Per l’opinione pubblica la domanda è “Si vuole tutto e magari anche di più, ma raffazzonato, o il meglio del possibile?”. “Come ottimizzare le risorse, che non sono infinite?. Dobbiamo fare un investimento per il futuro immaginando funzioni flessibili con tecnologie appropriate o uno spazio multivalente, non specialistico, dove cerchiamo di farci stare di tutto?”.

Si tratta di ragionare in termini di qualità e di bisogni commensurabili. È dubbio che un ex cinema in cemento armato di tal fatta sia facilmente convertibile in un auditorium e in un teatro di prosa di qualità. È migliore e meno caro uno spazio interamente rinnovato, conforme alle nuove tecnologie e agli standard di comfort, visibilità e acustica oggi richiesti, adatto ad ospitare spettacoli teatrali, balletti e concerti (non certo però l’Ottava di Mahler!), che rammendare alla bell’e meglio un brutto e afono spazio disfunzionale a una riconversione dignitosa, rabberciandolo qua e là con costi altrettanto alti ma con risultati forzatamente mediocri.

Ci sono rischi anche peggiori se la megalomania che affligge il provincialismo localista fosse assecondata nella sua bulimia di posti e funzioni. Un edificio nuovo, di eccellente fattura architettonica, può soddisfare i bisogni musicali – di altissimo livello – della città, che mancano di spazi capienti e con acustica ottimale, e può assolvere altresì a una domanda teatrale qualificata, estesa nel numero ed interessata a quelle innovazioni consentite alle nuove tecnologie dello spettacolo che tutti abbiamo ammirato assistendo alla RAI alla Traviata allestita da Martone.

La demolizione-ricostruzione integrale offrirebbe dei vantaggi incomparabili. Ne elenco i principali.

1) Gli architetti godrebbero della massima libertà ideativa. 2) Il progetto avrebbe una coerenza interna ed esterna, aprendosi sulla piazza, ponendo fine all’effetto muraglia che l’attuale facciata respingente provoca. 3) La volumetria verrebbe doverosamente accresciuta per la profondità dello scavo e in aggetto, mentre la trasformazione della facciata in altezza consentirebbe di realizzare un salone superiore e di coprire le brutture degli edifici retrostanti. 4) La superficie complessiva si accrescerebbe grazie alla demolizione dell’insignificante edificio attualmente occupato dalla Città del Sole. 5) La simbiosi funzionale tra il teatro-auditorium e la palazzina liberty oggi destinata ai Servizi Sociali, architettonicamente pregevole, offrirebbe un supporto e un complemento alle attività dell’edificio principale. Gli spazi attigui alla palazzina, oggi destinati a parcheggi e altre funzioni, potrebbero venire utili per l’eventuale accesso di TIR, per piccoli spazi verdi fruibili e per migliorare la pedonabilità nella stradina di collegamento tra via Orrigoni e il palazzo della CNA. 6) Avremmo un edificio ad alto risparmio energetico, con una riduzione dei costi di gestione, e con un azzeramento degli effetti disturbanti dei suoni provenienti dall’esterno. 7) All’interno, la sala diverrebbe una sola, anche perché la balconata dell’attuale galleria, concepita in funzione di uno sguardo orizzontale verso lo schermo cinematografico, inibisce la vista del sottostante palcoscenico. 8) La conformazione della sala potrebbe permettere di distinguere e separare la parte bassa, fino a 499 posti, da quella più alta, con circa altri 400 posti. Questa flessibilità offrirebbe molti vantaggi nei costi di gestione. 9) I corridoi laterali consentirebbero di accedere per settori, e le uscite antincendio sarebbero facilmente collocabili. 10) La qualità dell’acustica sarebbe perfetta una volta eliminato il cemento armato e coperto la sala di materiali opportuni ad un’ottimale restituzione dei suoni, inclusa la voce umana negli spettacoli teatrali. 11) Avremmo un palco moderno, leggermente ribassato, un foyer ampio e luminoso senza l’ingombro di scale disgraziate che lo imbruttiscono, sedute comode, spazi tecnici e di servizio (il guardaroba e i bagni per il pubblico, i camerini per attori e orchestrali, i magazzini) rispondenti a un teatro degno di questo nome e in generale spazi e tecnologie più flessibili. 12) Il design degli interni e la qualità degli arredi è parte integrante di un progetto di qualità unitario e linguisticamente coerente.

In ultimo, sfruttando soprattutto gli ambienti inferiori al piano strada, ben arredati, aerati e illuminati, ricaveremmo tutti gli spazi necessari a fare dell’edificio un corpo vivente aperto tutti i giorni dalle 9.30 alle 23, indipendentemente dalla programmazione degli spettacoli: un bar pasticceria, un piccolo ristorante, una discolibreria specializzata annessa a una sala lettura, ascolto e consultazione in ambito teatrale e musicale, una piccola sala prove fruibile per spettacoli amatoriali e per bambini e con finalità didattiche. Le parti più in profondità ospiterebbero le impiantistiche e le movimentazioni sceniche. La direzione artistica, gli uffici e quant’altro necessario alla gestione delle attività andrebbero nella palazzina adiacente, Resta, infine, il nodo cruciale della piazza antistante con le sue adiacenze, e la necessità di una compiuta pedonalizzazione di quel segmento urbano tra le stazioni, il centro e piazza Repubblica. A teatro e ai concerti, lo si ricordi, si va a piedi.

Se questa linea fosse scelta con chiarezza, la progettazione diverrebbe una sfida attraente per grandi studi architettonici nazionali e internazionali. Il piacere della sfida potrebbe indurre i concorrenti ad autocalmierare alcuni costi di progettazione. Un concorso a invito, su queste basi, sarebbe la soluzione più logica e metterebbe il committente al riparo dal rischio, altrimenti inevitabile, della mediocrità e del muoversi nel ristretto ambito locale.

In ogni caso un bando che blindi ottusamente le possibilità di scelta alla riconversione dell’esistente è uno sbaglio fatale e il fallimento dell’obiettivo della qualità è certo. Provate ad andare a uno spettacolo alla Scala vestiti con un abito liso e pieno di rammendi e rattoppi. Temo che i decisori preferiscano i rattoppi e condiscano via i problemi con superficialità e retoricume di sest’ordine.

Un teatro-auditorium di questo genere potrebbe reggere una stagione annuale con circa cento sere occupate con concerti (non di sola classica), balletti e spettacoli teatrali promossi direttamente dal Comune o da altri soggetti, a cui andrebbero aggiunti gli eventi amatoriali gestiti da un associazionismo di ordine locale ed eventuali conferenze di richiamo. La direzione artistica collegiale scelta dall’ente locale, una politica di gemellaggi con Milano, Lugano, Como, Novara e altri rilevanti teatri italiani e un’amministrazione solerte nella ricerca di sponsor di peso sono i passi finale prima di partire senza andare alla ventura come il ragionier Fantozzi.

Buona fortuna al Politeama e alla Varese del 2040.

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