“L’Europa si forgerà nelle crisi” amava ripetere Jean Monnet, un grande europeista francese. Concetto ribadito da Alcide De Gasperi, Robert Schuman e Altiero Spinelli. In effetti anche la storia recente dimostra una sua capacità di ripresa e rilancio a seguito di eventi drammatici.
Gli esempi non mancano negli anni 2000. Dopo la grande crisi finanziaria del 2007/2008 l’Europa ha reagito, anche se in ritardo, per opera della Banca centrale europea guidata da Mario Draghi nel 2011/2012. E dopo la terribile esplosione del Covid 19 la Commissione UE ha fatto altrettanto bene con il Recovery Plan di 750 miliardi di cui circa 200 per l’Italia in parte a fondo perduto e in parte con prestiti a tasso praticamente zero.
Ma pure gli europeisti convinti, anzi soprattutto questi, vorrebbero molto di più. E non solo per le insufficienze e i ritardi dimostrati recentemente nell’approvvigionamento dei vaccini che saranno recuperati entro l’estate. Vorrebbero l’armonizzazione fiscale, la pratica della solidarietà fra gli Stati, la Difesa comune.
Sono le stime molto serie sull’economia a preoccupare di più e il confronto con gli Usa è impietoso. Nell’ultimo trimestre 2020 il tasso di crescita annualizzato era in America del 4% maggiore rispetto al momento acuto della sua crisi sanitaria mentre l’economia europea arrancava ancora.
Gli esperti dicono che, a partire dalla fine di quest’anno e in particolare dall’anno prossimo, le distanze con l’America aumenteranno – per non parlare di quelle con la Cina. Entro il 2022, scriveva l’Economist settimana scorsa in un documentato servizio, la crescita degli USA sarà presumibilmente del 6% sul 2019 rispetto al poco aumento che registrerà l’Europa.
In realtà questo confronto, dal punto di vista politico-istituzionale, è sostenibile solo in parte. Gli Usa sono una grande Federazione di Stati con una legislazione univoca. L’Europa, che resta però molto migliore quanto al sistema di welfare, è lontanissima dal quel modello. Basti dire che l’esborso dei fondi del Recovery Plan, che sarà attuato solo in parte entro la fine di quest’anno, dovrà essere in qualche modo approvato da tutti i 27 Paesi dell’Unione.
Il Consiglio europeo, rappresentativo dei governi e guidato da Charles Michel, è praticamente altrettanto potente della Commissione, cioè il governo europeo guidato da Ursula von der Leyen. Quanto è recentemente successo in Turchia con una poltrona sola per i due leader europei, ed occupata da Michel, non mette solo in rilievo lo sgarbo della diplomazia turca ma il difficile e controverso rapporto fra i due organismi europei. Un’Europa con due teste non può raggiungere alti livelli di efficienza politica ed operativa.
È questo lo squilibrio da superare. Oggi vige largamente la pratica degli Stati che incolpano l’Europa di tutti i guasti e intestano a sé medesimi i risultati positivi. Non è solo per responsabilità degli euroscettici – sulla difensiva dopo il Recovery Plan – è anche per responsabilità degli europeisti troppo tiepidi e incerti.
Bisogna invece dirlo apertamente e ad alta voce: serve una ulteriore cessione di sovranità dagli Stati all’Unione Europea. Serve superare l’Europa intergovernativa. Non basta l’Europa dei piccoli passi, serve propendere verso un’Europa più unita e solidale.
You must be logged in to post a comment Login