(O) Ci siamo presi una settimana di vacanza, in coincidenza con la Pasqua e i giorni immediatamente successivi, ma temo con scarso beneficio per noi, infatti avrei almeno il doppio di argomenti da proporvi, se non il triplo. Ho tentato di rispettare almeno un po’ l’invito di Papa Francesco al digiuno quaresimale di notizie frivole e letture inutili e vorrei anche seguire quest’altro invito del nostro arcivescovo Delpini: «Intendo lanciare un allarme: se il virus occupa tutti i discorsi non si riesce a parlare d’altro. Quando diremo le parole belle, buone, che svelano il senso delle cose? Se il tempo è tutto dedicato alle cautele, a inseguire le informazioni, quando troveremo il tempo per pensare, per pregare, per coltivare gli affetti e per praticare la carità? Se l’animo è occupato dalla paura e agitato, dove troverà dimora la speranza? Se uomini e donne vivono senza riconoscere di essere creature di Dio, amate e salvate, come sarà possibile che la vicenda umana diventi “divina commedia”?».
Vorrei farlo, ma mi riesce difficile. Purtroppo anche per me è verissimo che se l’animo è occupato dalla paura, non si trova il tempo per pensare e per pregare; ma come si fa a liberarsi dalla paura del covid19, cioè dalla paura della malattia e della morte, se nella confusione attuale non nessuno dice una parola, ferma e chiara, che non aggiunga altra confusione?
(C) Bravo! Non aggiungiamo confusione anche noi; perciò non riportiamo le infinite polemiche sull’efficacia dei vaccini, sul rischio di complicazioni infinitamente minore del beneficio dell’immunizzazione, sugli errori europei e italiani nell’acquisto delle dosi, sulla loro mancata o lenta somministrazione ad opera delle regioni. Prendiamo atto, guardando a tutto il mondo con disincanto e non con pregiudizio, che tutti hanno fatto i loro errori, prima o poi, grandi o piccoli. Si diceva la volta scorsa che la pandemia è stata uno stress-test per tutte le istituzioni e che nessuna lo ha superato con pieno merito, con l’eccezione della famiglia, almeno per l’esperienza che ne abbiamo fatto nel nostro piccolo ambito. Però anche dal fallimento del test si può imparare, proprio come si faceva a scuola: gli errori del compito in classe, una volta corretti, non li ripetevamo più. La parola ferma e chiara che tu chiedi è una sola: dare fiducia a chi la merita. Moltiplicare i sospetti non serve a niente.
(S) Dici bene, ma chi merita fiducia? Domani andrò a vaccinarmi, è un gesto di fiducia nelle istituzioni e nelle Big Pharma multinazionali che lo hanno prodotto, negli scienziati che lo hanno studiato, nel medico che me lo consiglia, ma …
(O) Una vita senza se e senza ma, credimi, non è possibile. La scelta è ineludibile e la scelta è sempre tra opzioni che hanno un margine di opinabilità, altrimenti è una obbligazione. Quando si dice: è una scelta obbligata, questa espressione non è paradossale, è contraddittoria. La difficoltà consiste nel passare da un criterio quantitativo ad uno qualitativo. Per esempio è facile stabilire che si vaccinano prima i più anziani, se il criterio è quello del rischio di morte, ma se il criterio è la contagiosità, vengono prima gli operatori sanitari, gli insegnanti e magari le cassiere dei supermercati. Chi stabilisce la priorità deve farlo con coscienza e conoscenza, ma quest’ultima è comunque, almeno in questo momento e per questo oggetto, molto limitata.
(C) Per aiutarci a capire, attingo ad una ricerca dell’Istituto Cattaneo condotta su incarico della Foundation for European Progressive Studies (FEPS) e della Friedrich-Ebert-Stiftung (FES), avente quale oggetto “The impact of Covid-19 pandemic crisis on European public opinion” in 6 Paesi: Italia, Spagna, Germania, Francia, Polonia, Svezia. (devo la notizia ad un articolo di Giovanni Cominelli, apparso su Santalessandro, organo online della diocesi di Bergamo, di cui dirò qualcosa nel poscritto).
“Il progetto di ricerca consta di due rilevazioni, la prima delle quali è stata condotta tra il 17 dicembre 2020 e il 15 gennaio 2021. La seconda indagine è prevista per il mese di settembre 2021. Quella appena pubblicata offre materiali di studio preziosi per comprendere quali movimenti di opinioni e di credenze ci lascia il passaggio del Covid in terra europea. Si tratta di percezioni, come ovvio. Ma è a partire da queste che si fanno le scelte individuali e collettive del futuro prossimo…
Per quanto concerne la fiducia nelle istituzioni, i giudizi positivi prevalgono in quasi tutti i Paesi, a conferma dell’ipotesi secondo cui la domanda di rassicurazione e la consapevolezza che per difendersi dalla pandemia sia necessaria un’azione collettiva coordinata dalle istituzioni. Di qui atteggiamenti tendenzialmente positivi nei confronti delle autorità pubbliche. Questo fenomeno risultava tuttavia particolarmente marcato nel caso dell’Italia. In Italia si sono registrati tassi di approvazione tra i più elevati rispetto agli altri Paesi sia per il sistema sanitario (74% di giudizi positivi contro una media europea del 63%), sia per i governi regionali e locali (59% contro una media europea del 40%), sia per il governo nazionale: (58% contro una media europea del 48%).
(O)Abbastanza sorprendente il risultato italiano, secondo giornali e tv saremmo invece addirittura furiosi per la maggior parte; ma anche la media europea della fiducia, al contrario, ci aspettavamo che fosse ben più alta ii quella italiana.
(C) Ci interessa ancora di più quest’altro aspetto della ricerca: “La ricerca ha indagato sulle risposte ai dilemmi politici del Covid che tuttora occupano il dibattito pubblico, perché attraversano la mente dei cittadini e perciò il sistema dei partiti e richiedono decisioni di governo. Dilemmi che hanno deciso delle elezioni americane. Sono state e sono principalmente due: salute/ libertà; salute/ lavoro.
Per quanto riguarda “salute vs. libertà”, in 5 Paesi su 6, ha prevalso nell’opinione favorevole il valore della difesa della salute rispetto alla “difesa della libertà individuale”. La media è del 42% rispetto al 35%. Ad eccezione della Francia, dove “libertà” prevale al 39% rispetto a “salute” al 33%.
I valori cambiano rispetto al secondo dilemma: “salute vs. lavoro”: la media dei 6 Paesi assegna il 39% a “lavoro” e il 34% a “salute”. Qui però le differenze tra i Paesi sono significative: Germania, Spagna e Svezia scelgono la salute, Francia, Italia e Polonia scelgono il lavoro. In Italia: 38% il lavoro, 35% salute. In Germania: 35% il lavoro, 36% la salute”.
(S) Qui io non sono d’accordo con le conclusioni dell’articolista, non c’è prevalenza da nessuna parte, sono sostanziali pareggi. Il che vuol dire che entrambi i dilemmi sono indecidibili, sia guardandoli con l’occhio del governo, sia con quello del popolo.
(C) Hai ragione; alla fine è l’istituzione che deve decidere, non ci si deve affidare all’umore contingente della gente, non varrebbero in questi casi strumenti di tipo referendario, formali o informatici. Sarebbe il caso più eclatante di ‘emocrazia’, di dominio degli aspetti emotivi, di cui abbiamo già discusso in maniera più approfondita in queste pagine. La riservatezza di Draghi è stata nel recente passato assai importante nel ridare credito al governo, ma non aveva influito sull’esito della ricerca, conclusasi un mese prima del suo giuramento come Presidente del Consiglio. Quindi i problemi della fiducia nelle istituzioni e della formazione di un’opinione pubblica consapevole sono due aspetti della stessa medaglia, sono comuni a tutta l’Europa e sembrano dipendere in minima parte dalle strutture istituzionali, dalle modalità delle diverse leggi elettorali, dalla consistenza dei partiti tradizionali rispetto a quelli nuovi.
(S) Torna la tentazione di ‘liquidare’ il tutto, rifugiandosi in Bauman: la società è liquida e le istituzioni lo diventano, anzi, più sono inconsistenti meno suscitano contrasti popolari. Non è forse vero che la Francia e non l’Italia ha conosciuto un fenomeno come i ‘gilet gialli’? La Francia che invidiavamo da sempre per la forza delle sue istituzioni politiche, riformate ancora ai tempi di De Gaulle, quella stessa Francia che però ora chiude l’ENA, la scuola nazionale d’ alta amministrazione pubblica, oggetto di nostra ancor maggiore invidia, e la chiude in nome di un malinteso egualitarismo?
Quindi, quali proposte, cari amici, Onirio e Costante, voi che siete sempre tesi a valorizzare il minimo spiraglio di speranza?
(O) Torniamo a quanto suggerito dall’Arcivescovo Delpini, che sosteneva ancora: “La città ferita non si lascia descrivere con una sola immagine. Io la vedo come un’orchestra che sta provando: ne vengono rumori dissonanti, pezzi di melodie, suoni sgraziati, passaggi virtuosi. I musicanti stanno provando: presto sarà eseguita la sinfonia. Io la vedo come una palestra: si praticano esercizi, ma non ci sono gare. Ciascuno pratica il suo sport: corrono, ma non vanno da nessuna parte. Tante solitudini: ciascuno ha cura di sé, si tiene in forma; meglio stare distanti dagli altri”. Manca il direttore d’orchestra, manca l’allenatore, per uscire dalla solitudine del giudizio emotivo, incapace di relazionarsi, di tener conto di tutti i fattori. La ragione zoppica, se non lo fa, il bene comune resta una teoria, una meta irraggiungibile, se la politica si accontenta di esprimere la media dei desideri di massa.
(S) Visto che i politici attuali preferiscono affidarsi ai sondaggi piuttosto che alla ragione, saremo sempre prigionieri di questo effetto di retroazione (gli angloparlanti lo chiamano feedback negativo), grazie al quale la situazione non potrà che peggiorare.
(O) Per uscire da questo circolo vizioso deve venire in luce un’autorità morale, religiosa o culturale. Penso al post-sessantotto e al periodo del terrorismo: ne siamo usciti grazie anche ai Pasolini e ai Testori che dai giornali non suggerivano rimedi tecnici, economici o sociologici, ma suggerivano una ricerca di senso dell’esistenza, cosa che nell’anno del covid19 si è vista molto poco; anzi, dopo il fallimento dei virologi-star, i giornali hanno cercato di rimediare affidando il compito di guida a matematici, fisici e scienziati di ogni genere, ma sempre allo scopo di fornire giustificazioni a certe misure di contenimento del contagio già applicate nel tenebroso medioevo, alla faccia della scienza.
(C) Ahi, anche Onirio, alla fine, vede bene l’esigenza, ma non ha la chiave per risolvere il problema, perché so che quando parla di ‘direttore d’orchestra’, non parla dell’uomo forte, che decide per tutti. Come interrompere questo circolo vizioso, in cui ha grandi responsabilità anche l’industria dell’informazione, ovviamente interessata a tenere alto il livello dei contrasti, per rendere indispensabile il proprio prodotto? Come parlare d’altro, non solo di covid, ma interessando davvero la gente? Non sono così presuntuoso da pensare di avere io la risposta, penso però che in questo momento la Chiesa Cattolica, anche grazie alla capacità comunicativa di Papa Francesco, abbia un’occasione preziosa per affermare, a dispetto di tutte le limitazioni pastorali subite in questi mesi, che la risposta alla domanda di Delpini sulla speranza è solo nell’avvenimento che è il suo fondamento stesso: ciò che è accaduto il giorno di Pasqua duemila anni fa.
Tutto il resto, l’applicazione alla vita concreta, alla carità, alla condizione degli ultimi, alla solitudine e all’abbandono degli anziani e degli emarginati, verrà come conseguenza.
(O) Onirio Desti (C) Costante (S) Sebastiano Conformi
P.S. Santalessandro è il settimanale online della Diocesi di Bergamo, nelle parole di uno dei fondatori: “Santalessandro è nato come spazio di confronto e di libertà tra l’informazione “generalista” dell’Eco di Bergamo e quella ufficiale del sito della diocesi”.
Mi pare svolga una funzione molto simile a quella del nostro RMFonline, forse con una maggiore presenza di personale professionista in redazione, ma come noi molto sostenuto da collaborazioni volontarie. Un cortese invito a collaboratori e lettori di RMFonline a buttarci un occhio, per confronto e suggestioni.
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