Quella che si sta realizzando attualmente nel mondo è la più grande campagna di vaccinazione di tutti i tempi, contro un virus che ha provocato così tante vittime e così tanti danni all’economia. Il dato fondamentale che emerge da questi primi mesi di campagna è che i vaccini funzionano: lo dimostra ad esempio l’andamento della pandemia nelle due nazioni che hanno la percentuale più alta di vaccinati sul totale della popolazione: Israele che ad inizio aprile ha superato il 60% di vaccinati e dove i nuovi casi di Covid sono crollati dagli 8.000 al giorno di metà gennaio e meno di 300 al giorno del 10 aprile, e la Gran Bretagna, dove la percentuale di vaccinati ad inizio aprile aveva già superato il 40%, con una riduzione di nuovi casi altrettanto significativa, dai 60.000 al giorno di inizio gennaio ai 2500 al giorno nella prima settimana di aprile. È interessante notare che Israele e Gran Bretagna hanno ottenuto questi risultati utilizzando due vaccini diversi, infatti mentre nel Regno Unito si sta utilizzando il vaccino così detto di Oxford, prodotto da AstraZeneca, in Israele viene somministrato quello di Pfeizer-Biontech.
In questo quadro confortante un problema particolare è però costituito dalla comparsa di complicanze gravi ed in qualche caso anche mortali che si sono registrate in seguito alla somministrazione del vaccino di AstraZeneca e di quello di Johnson e Johnson: casi di trombosi associate a calo delle piastrine, da riferire verosimilmente alla interazione degli anticorpi prodotti in seguito alla somministrazione del vaccino con gli antigeni delle piastrine denominati PF4.
Per quanto riguarda il vaccino AstraZeneca a fine marzo, su 34.000.000 di dosi di vaccino somministrate in Gran Bretagna e nel resto di Europa, erano stati segnalati 169 casi di trombosi dei seni venosi cerebrali e 53 casi di trombosi a livello di organi addominali, comparse entro due settimane dopo la prima somministrazione di vaccino e che nella maggior parte dei casi hanno interessato donne di età inferiore a 60 anni; si tratta di trombosi rare che dopo la vaccinazione si sono presentate in un numero maggiore rispetto a quello atteso nella popolazione generale.
Per quanto riguarda il vaccino Johnson e Johnson i casi di trombosi “rare” registrati negli USA sono 6, tutti in donne di età compresa tra 18 e 48 anni e con un esordio compreso tra 6 e 13 giorni dopo la vaccinazione (ricordiamo che per tale vaccino è prevista una sola dose).
Come sappiamo nel corso della campagna vaccinale le indicazioni per l’utilizzo del vaccino di AstraZeneca sono cambiate per quanto riguarda le fasce d’età: all’inizio infatti era previsto per persone di età compresa tra i 18 e i 54 anni, in seguito l’indicazione è stata estesa fino ai 65 anni, finché con una circolare del Ministero della Salute datata 07 aprile è stato raccomandato “un uso preferenziale nelle persone di età superiore ai 60 anni”.
Tale decisione è stata presa per ridurre al minimo il rischio, per altro molto basso, di trombosi dei seni venosi cerebrali e di trombosi delle vene di organi addominali nei vaccinati.
Per quanto riguarda il vaccino Johnson e Johnson la Food and Drug Administration ha raccomandato in data 13 aprile una pausa nell’utilizzo di tale vaccino negli USA, per poter valutare meglio i 6 casi di trombosi dei seni venosi cerebrali registrati. In Europa, dove l’utilizzo di tale vaccino, stava per cominciare, si sta valutando il da farsi.
Qualcuno potrebbe chiedersi: come mai tali complicanze non erano emerse negli studi condotti nelle fasi sperimentali? La risposta è semplice. Il numero di soggetti vaccinati nell’ambito degli studi condotti in fase sperimentale per tali vaccini non è paragonabile a quello delle persone che sono state poi vaccinate una volta che tali preparati sono stati approvati (qualche decina di migliaia rispetto a decine di milioni); è quindi comprensibile che un evento raro come quello di cui stiamo trattando sia emerso in maniera apprezzabile solo in seguito. La rilevazione di nuovi eventi avversi per un certo farmaco, che non erano emersi nella fase sperimentale, ma che vengono rilevati una volta che quel farmaco è stato approvato ed inizia ad essere usato nella pratica clinica, costituisce un fenomeno abbastanza frequente e ci fa capire quanto sia importante per qualsiasi farmaco la segnalazione degli eventi avversi ed il loro monitoraggio.
Dobbiamo quindi considerare questo aggiustamento in corsa delle indicazioni riguardanti l’utilizzo del vaccino AstraZeneca un segnale positivo, di “funzionamento del sistema” e rimaniamo in attesa di sapere cosa si deciderà rispetto al vaccino di Johnson e Johnson, che in Europa non è stato ancora utilizzato; è possibile che anche per questo vaccino si deciderà per una rimodulazione delle raccomandazioni d’uso.
Ma un dato è certo: per entrambi i vaccini i benefici (vite salvate) sono nettamente superiori ai rischi (rari casi di trombosi atipica in una certa fascia di età). Non possiamo quindi permetterci cali immotivati di fiducia che possono compromettere il risultato che ci aspettiamo dalla vaccinazione di massa: poter finalmente uscire dalla pandemia.
Tutti i vaccini che abbiamo a disposizione sono sicuri e tutti necessari per arrivare al risultato anelato, sperando soprattutto che le dosi arrivino in quantità sufficiente e senza ulteriori ritardi.
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