Tra i tanti vandalismi praticati nella nostra società forse il più sottovalutato è quello ferroviario, cioè quello praticato nelle stazioni, lungo i binari e soprattutto sugli stessi treni. Con il passare degli anni ci si è assuefatti a questo deteriore fenomeno che in un tempo non molto lontano era pressoché sconosciuto o quanto meno limitato a qualche scarabocchio lungo le massicciate e sul fianco di qualche vagone. Negli ultimi anni vi è stata invece una crescita costante di danneggiamenti di vario segno. Due episodi, nelle ultime settimane, hanno fatto decisamente alzare la soglia dell’attenzione. Nella stazione Trenord di Como lago, la notte di sabato 20 marzo, tre treni di nuova generazione sono stati semi distrutti mentre prima, tra il 9 e il 10 gennaio, un episodio analogo, anche se con danni più limitati, si era verificato alla stazione di Colico. Nel primo caso i danni sono stati stimati in 100 mila euro, qualcosa meno nel secondo.
Comunque sia negli ultimi anni gli atti di vandalismo ferroviario sono cresciuti senza soluzione di continuità. Graffiti, danni ai sedili, vetri infranti, danneggiamenti alle strumentazioni di bordo, sottrazione di martelletti frangi vetro e altre amenità sono quasi la normalità sulle reti di Trenord messa nel mirino da questa forma di devianza sociale specializzata. Danni talmente ingenti che l’azienda, negli ultimi anni, ha registrato un costo complessivo per il ripristino del materiale rotabile di circa 10 milioni di euro di cui 1,5 milioni solo per la rimozione dei graffiti. Un’enormità che in pratica vuol dire sottrazione di risorse finanziarie per investimenti in sicurezza e per l’ammodernamento dei convogli più in età, dunque una pesante penalizzazione per tutta la collettività e in particolare per chi usa il treno come abituale mezzo di locomozione.
Nel complesso un trend negativo in crescita di un ulteriore 30% nei primi mesi del 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020. L’azienda afferma infatti che tra gennaio e febbraio i treni sono stai colpiti 148 volte contro le 104 dell’anno prima. L’inventario dei danni parla chiaro: 477 i finestrini distrutti,3778 i sedili divelti, 3513 i martelletti di sicurezza sottratti. Un’ impennata distruttiva che le anime belle del mainstream psicologico e psicanalitico imperante nei media imputa al permanere della pandemia Covid 19.
Non vi è alcun dubbio che il virus stia incidendo pesantemente sulle generazioni più giovani costrette a un innaturale confinamento nelle proprie case dalla didattica a distanza. Una modalità di trasmissione del sapere che li sta privando dell’esperienza più viva e significante dell’età giovane qual è la scuola, nonostante i suoi mille difetti. Occhio però alle generalizzazioni di comodo e al conseguente giustificazionismo assolutorio. Alla base dei vandalismi e alla furia distruttiva di molti gruppuscoli, in Italia come all’estero, vi è semplicemente un agghiacciante vuoto esistenziale, un vuoto talvolta ben certificato dagli scarni verbali di polizia dove, come nel caso di Colico, a scusante delle proprie infauste gesta, un sedicenne e un diciassettenne adducono semplicemente la noia e l’incapacità di gestirla in termini positivi. Quasi a certificare una domanda educativa inevasa che molto spesso sta alla radice di questo tipo di devianze.
Tuttavia accanto ai tanti interrogativi che il vandalismo giovanile suscita, non si possono tacere, anche per quello ferroviario, alcune oggettive situazioni strutturali che lo propiziano. Una su tutte è la desertificazione delle stazioni un tempo, anche le più piccole, abitate da un capo stazione e comunque frequentate da personale ferroviario utilizzato a vario titolo sul lembo di rete di competenza. Erano dei punti di aggregazione con la sala d’attesa, l’edicola dei giornali, il bar e ovviamente le biglietterie.
L’avvento delle nuove tecnologie e la concreta possibilità di risparmiare sui costi del personale, hanno spinto le aziende ferroviarie ad azzerarle aprendo così la strada alla loro trasformazione in squallidi e pericolosi non luoghi. Naturalmente senza aver messo a punto alcuna strategia alternativa. Ridare centralità alle stazioni sembra ora un percorso obbligato. Devono infatti tornare ad essere un tassello importante delle città, dei paesi, un luogo di riferimento tutelato, un catalizzatore di piccoli commerci, traffici e relazioni umane. Come dovrebbe diventare l’area stazioni di Varese una volta completato il complesso piano di riqualificazione avviato dalla Giunta Galimberti.
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