L’11 aprile del 1901, giusto centoventi anni fa, un corteo funebre attraversava la città di Varese muovendo, da una nota casa dell’allora via Monte d’Oro, alla volta della Basilica di San Vittore. Lo scomparso, morto all’età di soli cinquantacinque anni, personaggio noto per i suoi importanti studi nel campo della medicina, era Giulio Bizzozero. Professore, ematologo e patologo di fama mondiale, era spirato l’8 aprile in Torino dopo una breve malattia polmonare.
Il corteo che l’accompagnava nell’ultimo viaggio non nascondeva la commozione per l’illustre concittadino e maestro dell’arte medica. Che, alla sua Varese, era solito ritornare appena possibile, nonostante il doppio impegno, esercitato con totale passione e dedizione, dell’attività professionale e politica.
Nel 1887 era stato infatti chiamato a far parte del Consiglio Superiore della Sanità, di cui fu per qualche anno anche presidente. E nel 1890, su proposta di Francesco Crispi, era stato nominato da Umberto I Senatore del Regno.
Nato a Varese il 20 marzo 1846, nella casa paterna presso la chiesa di Sant’Antonio alla Motta da Carolina Veratti -figlia di Cesare, noto per essere stato proprietario di Villa Estense, oggi sede della amministrazione comunale-, il Bizzozero faceva parte di quella colta schiera di medici che hanno onorato nel tempo la città. Come Luigi Sacco (1769-1836) prima e Camillo Golgi poi (1893- 1926), che fu suo allievo, amico e infine parente, poiché ne aveva sposato la nipote. Nel 1906 il Golgi ottenne nientemeno che il Premio Nobel per le sue ricerche sul sistema nervoso.
Dopo gli studi classici a Milano, e la laurea in medicina, conseguita a soli venti anni all’università di Pavia -dove gli fu maestro Paolo Mantegazza- Giulio si era subito arruolato volontario al seguito di Garibaldi.
A Pavia era poi ritornato in qualità di insegnante di istologia e patologia, una volta conseguita la specializzazione a Zurigo e Berlino. Sarà chiamato successivamente all’università di Torino, dove gli era stata assegnata la cattedra di patologia generale. Vi rimarrà -e ne sarà anche rettore per un anno- fino alla morte.
Fondamentali sono le scoperte del nostro.
Nel 1879, anno in cui gli viene affidata la direzione del gabinetto di patologia generale, mette a punto il cromocitometro, lo strumento utilizzato per dosare la emoglobine. E nel 1881 annuncia la scoperta dell’esistenza delle piastrine nel sangue.
Importantissimo fu anche il ruolo esercitato dal Bizzozero nel combattere le malattie infettive.
Due i capisaldi della sua lotta: la raccomandazione di adeguate misure igieniche, e il sostegno alla fondamentale pratica della vaccinazione, sulla scia di Luigi Sacco, lo Jenner italiano. L’impegno del Bizzozero in quest’ultimo campo è ben documentato anche da due suoi articoli: La vaccinazione e i suoi oppositori (1897) e Il vaiolo e la vaccinazione a Milano (1898) che riprendono entrambi quella pratica di convincimento iniziata proprio da Sacco nel suo famoso Trattato di vaccinazione del 1809. Fondamentale era per Bizzozero l’affiancamento di leggi e abitudini igieniche al progresso delle conoscenze scientifiche da ricercarsi tra le più autorevoli fonti, italiane e straniere. Così come indispensabile riteneva l’adeguata risposta dello stato ai problemi di salute, sia attraverso una indispensabile prevenzione e pianificazione, sia con tempestive e mirate cure.
Significativi furono, allo scoppio di una grave epidemia di colera nel 1877, il suo intervento e la pronta denunzia, con il collega Pagliani – attraverso la Società di Igiene di Torino – della inefficienza di un sistema di profilassi ancora basato su quarantene e cordoni sanitari. I rilievi formulati dal Bizzozero portarono Crispi alla istituzione di una direzione sanitaria, a livello tecnico, alle dipendenze immediate del ministero dell’Interno e al varo di una Legge sulla tutela dell’ Igiene e della Sanità pubblica. E ancora, nel ‘91 il Bizzozero presentò in Senato due risoluti interventi contro la minaccia di un decentramento dei servizi sanitari, profilato dal primo ministero di Rudinì.
Di nuovo interverrà nel ‘96 contro il secondo governo Rudinì, che, per realizzare economie di bilancio, aveva preso l’iniziativa di un effettivo decentramento dei servizi sanitari e di una riduzione dell’organico centrale.
Né fu da meno, nella sua Varese, in consiglio comunale, del quale pure faceva parte con passione e dedizione.
Commemorando Giulio Bizzozero proprio dai banchi del consiglio comunale, durante la seduta del 10 aprile 1901, l’avvocato Moroni così lo ricordava: “Egli trascurava talvolta impegni ben più alti e remunerativi per partecipare ai nostri modesti lavori, prendeva anche spesso la parola e specialmente in materia di igiene e di istruzione; parola semplice, chiara, modesta, specchio dell’anima sua. Alle obiezioni finanziarie che spesso gli muovevano rispondeva che un paese come il nostro doveva mostrarsi pari alla sua fortuna e non seguire in materie così alte, di interesse generale, criteri di economia domestica”.
Anche Federico della Chiesa, garibaldino, avvocato, e sindaco di Varese dal 1911 al 1914, rievocando l’attività politica svolta dal patologo per la sua città, ne sottolineava la volontà di partecipazione alla cosa pubblica: “Apparteneva da vari anni al nostro consiglio comunale e l’opera sua si spiegò particolarmente nel campo della salute pubblica. Egli ad esempio, preoccupandosi della diffusione che la febbre tifoidea aveva sempre avuto da noi (e scriviamo queste note sul benemeritò nostro concittadino in momenti nei quali si va verificando una recrudescenza di questo morbo da destare serie preoccupazioni) non si stancava di raccomandare la sollecita esecuzione della fognatura”.
L’avvocato e amministratore pubblico concludeva con un ammonimento: “Che conto è stato tenuto delle sue raccomandazioni? È bene pensiamo che a volta a volta si vada esumando la memoria di quei cittadini che hanno benemeritato del loro paese e Giulio Bizzozero può essere di pieno diritto posto in cima alla scala”.
L’allora via Monte d’Oro è oggi via Bizzozero. E una targa ricorda, a perenne memoria, il nome e i meriti dell’illustre intestatario. Anche di Camillo Golgi -che usava soggiornare in città, nella stessa via e a poca distanza dalla casa dell’amico Giulio- è rimasta una targa commemorativa che ricorda a chi passa la presenza di un Premio Nobel per la medicina.
Un ambito, questo dell’arte medica varesina, sempre indagato dagli studiosi e al quale molto dobbiamo. I nomi sono tanti: con loro ricordiamo almeno Sacco, il grande vaccinatore, nonché, in anni più vicini, Scipione Riva Rocci (1863-1937), allievo di Carlo Forlanini. Fu, come ricorda la storia della medicina, l’inventore dello sfigmomanometro. Nonché direttore dell’ospedale varesino dal 1900 al 1928. Morì da medico generoso, il 15 marzo 1937, a Rapallo, dopo lunga malattia, un’encefalite letargica, contratta in anni precedenti, durante una necroscopia.
Dalla sua invenzione Riva Rocci si rifiutò di ritrarre il benché minimo guadagno, opponendosi anche alla richiesta di una casa farmaceutica perché concedesse l’uso del suo nome. Ma erano altri tempi.
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