Mario Draghi, un rivoluzionario. Ma sì, abbiamo il coraggio d’affermarlo. L’orgoglio di dichiararlo, whatever it takes. Ovvero: al costo di prenderci senz’ombrello la grandinata di critiche d’adulazione del mite giacobino che per fortuna abbiamo là, a Chigi, nell’epoca più drammatica dal ’45 in poi.
La prima rivoluzione. Draghi recupera, riscatta, restituisce all’onore della dignità gli anziani. I canuti, curvi, storti, malati, omerici vecchi. Gli Anchise d’una volta, i “ma anche loro” di oggi. La zavorra della società, quelli che chi se ne frega se schiattano. Gente in meno cui versare ogni mese l’assegno di quiescenza, fastidi rimossi per quelle famiglie (non certo l’universo delle famiglie, deo gratia) che li vivono come tali, peso esistenziale giustificabile solo in quanto utile al mantenimento pensionistico d’un tot di giovani sfaccendati. Beh, a questi vegliardi e non venerandi cittadini d’Italia, così poco trendy e circonfusi di santo trash, il premier decide di dare (era ora: poteva e doveva farlo prima, nessuno è perfetto) la precedenza nella vaccinazione anti-Covid, insieme con i fragili e i disabili, vergognosamente dimenticati nelle retrovie del punturismo. C’è una ratio economica: se l’infezione non attacca più questa parte del Paese, il resto può riprendere a lavorare e dunque a vivere, anziché a sopravvivere. Ma c’è anche una ratio sociale, umana, caritatevole: gli ultimi meritano d’essere soccorsi per primi. Perché il morbo uccide innanzitutto loro, ai quali precipue si deve il livello raggiunto da figli, nipoti e pronipoti nella lunghissima stagione del benessere, ora minata dall’infestante morbo. Si chiama, sintetizzando: gratitudine. E viva chi conosce ancora il senso della desueta parola: lessico di sostanza, non di forma.
La seconda rivoluzione. Con ardita/soave crudità, Draghi dà del satrapo a Erdogan, capo dei turchi. Riassumendo con una battuta: vaccina da lui l’Europa, seppellendolo sotto l’epigrafe di dittatore. Lastrazeneca? Eh sì. Lastrazeneca. Un peccato d’ingenuità commesso dallo smagato economista del tutto digiuno di politica, si argomenta. Sbagliando a interpretarne la comunicazione. L’ex numero uno della Bce parla da commander in chief del continente, mica solo della penisola tricolore, difendendo la von der Leyen, vittima d’un protervo sgarbo istituzionale. Non è una retorica partigianeria pro quota rosa. È lo scudo al leader (alla leader) del governo comunitario, che tutti ci rappresenta e che tutti dobbiamo tutelare. Marione lo impugna non a caso, e mostra d’essere ciò che gli altri non sono: uno con le spalle, capaci di sopportare perfino carichi esagerati. Prenda esempio quel misirizzi belga a nome Michel, inadeguato presidente del Consiglio europeo, acquattato/silente testimone dell’umiliazione inflitta alla sua collega di Bruxelles. Prendano esempio la Merkel, Macron e soci vari, attenti a sopire e rimuovere, derubricare e infingere. Quando mai s’era visto un italiano ribaltare l’immagine che degl’italiani alla Sordi e alla Gassman della “Grande Guerra” di Monicelli andava circolando per il resto del mondo? Eravamo rimasti al romano Oreste Jacovacci e al milanese Giovanni Busacca, icone dell’eroismo vile; siamo passati all’europeista, occidentalista, internazionalista Mario Draghi che non recita parti in commedia, ma scrive capitoli di storia. Senz’interessi personali, avendo tutto da perdere e nulla da guadagnare. Effettivamente, roba da cinema per un popolo d’antitaliani che si credono arcitaliani. E d’europei d’idem sentire e sentore. Gente da piccolo scherno, non da grande ribalta.
You must be logged in to post a comment Login