È sempre più raro che la televisione generalista riesca a far discutere giornali e divida l’opinione pubblica su temi che non siano il pecoreccio, il trash e altre frattaglie d’intrattenimento leggero, o leggerissimo.
È invece capitato con gli episodi d’esordio di “Leonardo” (martedì, prima serata RaiUno), nuova serie tv co-prodotta da Rai e Lux Vide della famiglia Bernabei, insieme con altri colossi tv europei.
A interpretare il genio toscano è stato chiamato Aidan Turner, giovane e piacente attore irlandese, già visto nella trilogia tolkeniana de “Lo Hobbit”; nel ruolo di co-protagonisti ecco poi la brava Matilda De Angelis, quest’anno pure cimentatasi a Sanremo come valletta di Amadeus, e Freddie Higmore, nei panni di Stefano Giraldi, un investigatore che dovrà stare alla calcagna di Leonardo per tutti gli episodi della serie (otto in totale), nel tentativo di trovare il responsabile dell’omicidio di Caterina da Cremona (la stessa De Angelis), musa del Verrocchio.
Nella vita – per altro già bastevolmente avventurosa – di Leonardo, la macchia del delitto non pare esserci, né tantomeno investigatori sguinzagliati al suo seguito: gli autori della serie hanno forse preso un granchio, scambiando l’autore della Gioconda per Caravaggio? No, semplicemente hanno ritenuto di condire la vicenda per renderla più appassionante agli occhi di un pubblico non solo generalista, ma super-internazionale, date le ambizioni produttive della serie. Il giallo e il rosa sono colori che vanno su tutto, si sa…
Questa scelta di scrittura ha diviso come si diceva la critica, con alcune prese di posizione di eminenti studiosi davvero corrosive: una delle più colorite ha fustigato la serie più o meno in questi termini: “un prodotto televisivo rivolto a chi non conosce la storia, scritto da chi non conosce la storia”.
Ha fatto discutere pure – e siamo al secondo episodio della serie – anche la vicenda legata all’inclinazione omosessuale del genio di Vinci: una nota biografica veridica, ma ancora una volta apparsa calcata ad uso e consumo del palato del pubblico contemporaneo. Se lo scopo era far discutere, diciamo che gli autori ci sono riusciti, e anche gli ascolti (oltre 6 milioni e mezzo di teste per il debutto, share sontuoso di oltre il 28%) hanno premiato lo sforzo. Vedremo come evolverà l’audience con le prossime puntate.
L’ultima volta che la Rai si era cimentata con uno sceneggiato su “La vita di Leonardo da Vinci” era il 1971, qualcuno lo ricorderà: alla regia c’era Renato Castellani, protagonista Philippe Leroy; ecco, con la presente serie siamo molto distanti dagli intenti (ed esiti) documentaristici di quel cimelio televisivo, non a caso utilizzato nei decenni successivi da trasmissioni di divulgazione scientifica (leggi: Quark) per illustrare realisticamente la vita del genio toscano.
Ma siamo anche molto lontani, con il Leonardo 2021, pure dalle bizzarrie fanta-storiche che hanno spopolato una decina di anni fa, filiate dalla saga di Dan Brown del “Codice Da Vinci”. Con quel fortunato filone tuttavia, la serie firmata da Frank Spotnitz e Steve Thompson condivide la trovata di voler esplorare i misteri e le avventure che si celano dietro alcune tra le più suggestive opere leonardesche, una per ogni episodio, otto in totale per questa prima serie, costata 30 milioni di euro.
Come si diceva, la coproduzione internazionale vede affiancate Italia, Francia e Spagna (i diritti sono già stati venduti per l’Inghilterra ad Amazon), in una sorta di versione cinematografica del “recovery plan” europeo… e per piacere a un pubblico tanto vasto ed eterogeneo, si spiegano tutte le “fughe in avanti” della sceneggiatura, che con grande onestà sia Luca Bernabei – produttore – che gli autori hanno dichiarato fin da subito orientata ad appassionare lo spettatore, “senza rinunciare a qualche elemento di realtà”. Il tentativo è insomma quello di replicare il successo che aveva già arriso alla precedente serie prodotta da Lux alcuni anni fa (e che già aveva “attualizzato” per il grande pubblico la figura di Leonardo): parliamo de “I Medici”.
Tra i prossimi frutti di questa alleanza tra colossi della tv pubblica europea – se si darà seguito a quanto annunciato nel 2019 a Lille durante “Series Mania” – ci sarà nientemeno che la trasposizione per il piccolo schermo del capolavoro di Jules Verne “Il giro del mondo in 80 giorni”; l’impegno degli sceneggiatori, nel tratteggiare la figura di sir Phileas Fogg, sarà quello di non cedere alla tentazione di raffigurarlo come un moderno influencer, tatuato e dedito agli stravizi. Anche se il pubblico – forse – gradirebbe. Speriamo in bene!
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