A chi gli chiede “Chi è il mio prossimo?”, Gesù risponde con una parabola. «Il prossimo non esiste già. Prossimo si diventa». Prossimo non è chi ha già con me rapporti di sangue, di razza, di affari, di affinità psicologica. Prossimo divento io stesso nell’atto in cui, davanti a un uomo, anche davanti al forestiero e al nemico, decido di fare un passo che mi ‘approssima’. L’amore per l’uomo nasce dalla dedizione a Dio, manifesta l’affidamento alla volontà di Dio. Ma Dio è il Padre di tutti, per questo colui che è radicato nell’amore di Dio guarda e avvicina ogni uomo, creando vincoli nuovi di prossimità, e scavalca le barriere della razza, della classe sociale, della diversa mentalità, della diversa appartenenza religiosa» (Carlo M. Martini, Farsi prossimo).
Il gesto d’amore compiuto dal samaritano, cioé uno straniero (un eretico per i Giudei) manifesta alcune caratteristiche dell’amore: è un amore universale, perché va in soccorso di chi era socialmente estraneo, anzi nemico; un amore che non discrimina, perché non guarda tanto al colore della pelle, all’idea politica, al credo religioso, ma si dà da fare per l’altro solo perché è ‘un uomo’.
È un amore coraggioso, che non teme di rischiare e paga di persona. Il sacerdote e il levita non si fermano non solo per ragioni di purità rituale, ma anche per la paura di subire la stessa sorte. È pure un amore sommamente generoso, che non si accontenta di un pronto intervento, ma si preoccupa anche del futuro dell’uomo ferito e coinvolge anche l’albergatore nella cura di lui.
Il punto centrale che ispira il comportamento del soccorritore sta nei verbi: “lo vide e ne ebbe compassione”. È la compassione che provoca il suo “farsi vicino” e ispira le azioni conseguenti, per un soccorso efficace e concreto. Ma qui non siamo su un livello di superficiale emotività, ma di partecipazione e vero coinvolgimento personale. È immedesimarsi nella vita dell’altro, patire-sentire insieme. Nel “vedere da vicino” è scattato in lui un “comune sentire”.
Con questo esempio Gesù mostra come l’amore vero decentra, perché non fa vedere più gli altri in funzione di sé, ma si decide la propria vita in relazione a quella degli altri. Non sono più io al centro dell’attenzione, ma l’altro viene prima di me. Questa storia sottolinea pure il legame stretto tra l’amore di Dio e del prossimo: il culto separato dall’amore è sterile, anzi falso. Il sacerdote e il levita, prigionieri dei loro schemi mentali, non hanno saputo cogliere la volontà di Dio che in quel momento chiedeva loro di anteporre agli atti rituali il culto vero (l’amore) da celebrare anche in un luogo profano, lontano dal tempio. Il bene non ha frontiere, ma soprattutto va inventato con creatività…
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