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Quel che ci duole, oltre ai disagi e all’angoscia per la sgangherata campagna vaccinale, è l’ematoma alla reputazione dei lombardi. Ecco cos’ha provocato l’inadeguatezza regionale nell’emergenza da Covid: eravamo ammirati in tutt’Italia, e non solo, come un esempio. Non lo siamo più. Un danno esiziale, una colpa da cui il ceto comandante del Pirellone non riuscirà a emendarsi, infliggendocene le conseguenze. Questo territorio, la sua megalopoli, i maggiori centri urbani, le virtuose periferie rappresentavano un modello. Hanno svestito l’abito. Sono stati costretti a svestirlo. Lo reindosseranno, certo, ma quanto tempo ci vorrà? Fin dove si dilaterà la stagione indispensabile a rimediare alla sfilata di pesanti errori?
Vinceremo la pandemia. Roma aiuterà Milano, e Milano aiuterà sé stessa. Gli sbagli, purtroppo pagati a caro prezzo, inducono a sbagliare di meno, se non a smetterla del tutto di sbagliare. Ce la faremo. Però lo sbrego resterà: una cicatrice al posto dell’ex marchio doc. E siccome in giro per l’Italia e per il mondo la concorrenza è affollata, faticheremo a ritrovare la leadership perduta. Le numerose leadership settoriali, svaporate in dodici mesi trascorsi fra equivoci, inadempienze, incapacità, leggerezze eccetera.
Un guaio grosso. Il guaione, direbbe lo smagatissimo dei politici. I politici. Ma che genìa abbiamo prodotto sul nostro territorio negli ultimi anni? Qui, nel luogo istituzionale dei Bassetti dei Golfari dei Guzzetti dei Tabacci degli Adamoli (giusto per un riferimento local-varesino), si è scesi a piani di stuporosa mediocrità. Sembrava che dopo l’epoca di Mani pulite la rigenerazione non potesse che produrre il meglio del meglio. E invece stiamo vedendo il meglio del peggio, fatta salva l’irreprensibilità dei protagonisti d’oggi. Gente onesta, perbene, specchiata. Ma che rimanda un’immagine deteriore di qualità amministrativa, d’intuito strategico, di capacità nel governare.
I lombardi pensavano d’esser diversamente degni d’una rappresentanza di vertice. Han dato molto, ricevono poco. Si dice: nella normalità storica non è stato così. Le eccellenze ce le riconoscevano: tante, tanti. Nell’emergenza sanitaria s’è dimostrato il contrario. Primazìe tecniche, retroguardie politiche. Assai più numerose le seconde delle prime. Waterloo inaspettata e clamorosa. Che mette in discussione un consenso popolare largo, una fiducia quasi sconfinata. Tre anni fa il candidato del centrodestra a guidare la Regione prese il doppio di voti del rivale di centrosinistra. Quanti ne totalizzerebbe oggi? E soprattutto: di quale plauso sarebbe gratificato il segretario del partito dominante nella Padania, una volta tesa a chiedere la secessione dall’Italia e oggi secessionatasi dai suoi abitanti, abbandonati al loro destino nel momento in cui il destino gli ha mostrato il volto truce?
Il coronavirus padrone in Lombardia graverà d’una servitù riconoscibile anche l’altrove politico. Il livello nazionale, vogliamo dire, dove la ricaduta d’un simile ‘default’ s’avvertirà. Messa a severa prova, la classe dirigente del nordismo e il suo capo l’han fallita. Le difficoltà esistevano per tutti, qui si sono moltiplicate. Per la loro imponenza e per la piccolezza di chi era deputato a farvi fronte. È stata, continua a essere, una figuraccia epocale. Ne usciamo tutti con la schiena piegata. Si chiama Lombargia (lombalgia), la regione tendente al basso che procura un gran dolore in ciascuno di noi. Non a caso viene identificato come colpo della strega. Alla quale s’è iniziata la caccia.
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