Mi presento. Mi chiamo Pietro Pizzi, sono uno studente di filosofia metafisica, corso specialistico, all’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Per via della mia tesi specialistica ho avuto l’occasione di venire negli Stati Uniti d’America a studiare a Washington D. C. per tre mesi (da marzo a maggio). L’argomento della mia tesi è un autore canadese, George Parkin Grant (1918, Toronto – 1988, Halifax), attualmente sconosciuto in Italia. Si tratta di un personaggio piuttosto famoso in Canada, da alcuni ritenuto il più celebre filosofo politico canadese, a breve seguito dal forse più noto Charles Taylor. La sua carriera, intimamente legata ai grandi rivolgimenti politici dei decenni successivi al secondo dopoguerra, è a metà tra il mondo accademico e quello politico a cavallo tra il Canada e la madre patria Britannica. Il suo maggiore sforzo teoretico è raccolto in due brevi saggi, Technology and Justice e Empire and Technology, seguiti da varie opere di filosofia politica quali A Lament for a Nation, scritto a riguardo del declino del nazionalismo canadese, English-Speaking Justice, e Philosophy in the Mass-Age.
Il suo argomento di base è una dura critica della modernità, prendendo spunto da una valutazione piuttosto precisa delle conseguenze del legame tra liberalismo e tecnologia nella politica di una nazione. Il suo ambito di interesse è principalmente quello del Nord-America, che nel mondo americano viene considerato come continente distinto da quello del Sud America. La sua tesi filosofica di base è che con la venuta dei fondatori delle prime colonie nel Nuovo Mondo la contemplazione, propria dell’approccio della filosofia greca antica, non abbia mai attraversato l’Oceano Atlantico. Infatti i primi uomini bianchi a stabilirsi in Nord America erano coloni in fuga dal mondo dell’anglicanesimo britannico, che all’epoca della colonizzazione dell’America si trovava in una situazione di particolare intolleranza religiosa rispetto alle nuove sette protestanti, quali il calvinismo e particolarmente la sua declinazione puritana.
Dunque l’arrivo di questi uomini, che avevano come ideale un rigoroso ritorno alla lettera della Bibbia (chiaramente Antico e Nuovo Testamento) ha promosso, a lungo andare, un atteggiamento di conquista davanti all’immensa distesa di terre che si offriva loro. È inevitabile che questi uomini, in fuga dalla Patria, si siano sentiti incaricati dal Dio di Mosè a conquistare una nuova terra promessa, dove le contaminazioni della Chiesa di Roma e quella Anglicana non avevano alcuno spazio. Volutamente gli USA nascono rigettando alcune delle radici europee, cosa che si esprimerà nella decisiva rivolta delle colonie contro la madre patria, l’Inghilterra, conclusasi con la Dichiarazione d’indipendenza il 4 luglio del 1776. È a questo riguardo che Grant rivendica la peculiarità della nascita della nazione Canadese. Infatti storicamente la prima colonia ufficiale del Canada, la fredda terra degli aceri rossi, non è di origine anglofona, è bensì francese. Tutt’oggi, infatti, la regione del Quebèc (detta anche La Belle Province), è la sola ad avere come unica lingua ufficiale il francese. Inoltre la tradizione religiosa è quella cattolica, pur avendo perso molto per via della secolarizzazione in corso negli ultimi due secoli. Questo il contesto storico che ha dato vita, nell’arco di quattro secoli, alla potente Federazione degli Stati Uniti d’America.
Avevo già avuto occasione, circa sei anni fa, di venire a fare un anno di studio in una scuola superiore cattolica, la Saint Anselm’s Academy. All’epoca avevo diciannove anni, oggi ne ho ventiquattro e vado verso il venticinquesimo. È chiaro che molte cose che non mi erano parse chiare o comprensibili sei anni fa oggi risultano più semplici. Ho imparato a guardare, ad ascoltare e a riflettere, cercando di comprendere le radici e le connessioni che spesso legano avvenimenti e fatti che all’occhio superficiale del turista di passaggio spesso sfuggono.
La prima cosa che salta all’occhio è la monumentalità di questa città, costruita tra la fine del millesettecento e l’inizio dell’ottocento con approvazione del Congresso, al fine di ospitare, come distretto staccato da qualsiasi altro stato, il Governo degli Stati Uniti. Naturalmente il fine di una città di queste dimensioni è quella di colpire l’occhio del visitatore, di ispirare riverenza per questa pur giovane repubblica federale costituzionale. È sempre in Washington che si trova la Catholic University of America (CUA), ove risiede anche il pontificio Istituto Giovanni Paolo secondo per la ricerca sulla famiglia. Quotidianamente mi reco alla library, ciò che noi in italiano chiamiamo biblioteca, per cercare i testi che non sono riuscito a reperire ed è proprio in questo nuovo contesto universitario che mi trovo a studiare. Qui ho ritrovato alcuni degli amici incontrati sei anni fa, in particolare un ragazzo colombiano, Antonio, che ora studia filosofia per il seminario. La sua storia è particolare, infatti pur essendo di origini colombiane per via del lavoro di suo padre ha vissuto quasi sempre fuori dalla Colombia, in particolare è stato alcuni anni in Canada ed alcuni anni a Washington, dove ci siamo incontrati. Una storia piuttosto affascinante per la sua ricchezza e per l’umanità che vibra in persone come lui. Ma ciò che lo rende unico è il fatto di vivere questa molteplicità di esperienze nella concretezza della sua fede cattolica. Mi ritengo molto fortunato ad avere un tale amico.
Di persone con storie incredibili come quella di Antonio, qui negli States, ce ne sono molte, uomini e donne che non avendo alcuna possibilità nel proprio paese d’origine, pur essendo buoni lavoratori, sono venuti qui in cerca di opportunità e di possibilità non solo lavorative, ma anche e soprattutto di libertà che altrimenti sarebbero impossibili. È peculiare di questa giovane nazione l’apertura alla ricchezza di esperienze diverse. Il vero motto del liberalismo americano è “vieni e costruisci anche tu il tuo mondo nuovo” oppure “life is money!”. Motto che, per chi sogna più libertà e un benessere altrimenti impossibile, sembra un sogno che può essere finalmente realizzato. Basti pensare al fatto che gli Stati Uniti hanno una lotteria speciale, dove il premio è la cittadinanza immediata. Questo escamotage ha molteplici vantaggi, in particolare quello di importare manodopera a bassissimo costo in base alle esigenze del paese. Non ci sono problemi di spazio qui, l’architettura tende sempre a proporzioni XL. Un altro vantaggio è un controllo più efficace dell’immigrazione clandestina, che qui, come in Italia, assume proporzioni drammatiche. Basti pensare al confine col Messico, poco sorvegliato e quindi estremamente inefficace.
Se vogliamo dirla tutta qui il problema dell’immigrazione è decisamente peggiore rispetto al nostro paese. I vantaggi offerti da un territorio vasto come quello USA però offre una potente valvola di sfogo che in Europa è impensabile. Inoltre occorre tenere conto che da noi, sebbene sempre meno evidente, c’è ancora una cultura e una tradizione di antichissima origine, che si respira nelle città stesse. Qui invece non c’è una vera e propria tradizione, se non quella liberale/capitalista. Infatti, mentre gli spazi pubblici vengono sorvegliati rigorosamente per mantenere un rispetto di tutte le tradizioni queste vengono relegate tutte nel privato, che risulta così piuttosto fiorente. In questo senso mi pare evidente che una realtà politica priva di un confronto reale all’infuori di questioni di gestione tecnico/amministrativa rende molto difficile la nascita di un’identità culturale unitaria. Sulle banconote e sulle monete del dollaro viene riportata la frase “e pluribus unum”. Effettivamente l’unità di questa realtà multiforme e ampiamente diversificata, in fin dei conti, appare proprio unita dal soldo. Lo spirito pragmatico degli americani mi sembra a volte impermeabile a qualsiasi discussione di principio, però bisogna portare a casa il profitto.
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