Caduto il vecchio governo, insediato quello nuovo, si torna a parlare dei problemi dell’editoria con un nuovo interlocutore. Un fare e disfare che ricorda la tela di Penelope e rimette al centro uno dei problemi irrisolti e forse irrisolvibili del nostro Paese. Il nuovo sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’editoria è dall’1 marzo Giuseppe Moles, 54 anni, di Potenza, senatore di Forza Italia e docente universitario esperto di relazioni internazionali. Subentra al decaduto Andrea Martella del governo Conte2 che era in carica dal 2019, preceduto nel 2018 da Vito Crimi del Conte1 e da Sesa Amici nel governo Gentiloni, attivo per un anno e cinque mesi.
Esulta il Cavaliere che nel nuovo giro di giostra mette un proprio uomo a guardia di un settore strategico. E rilanciano fiduciosi le proprie speranze editori, giornalisti, distributori, edicolanti e quanti confidano che i problemi siano finalmente affrontati e risolti. Peccato, comunque. Con Martella le cose erano ben avviate. Il vecchio sottosegretario lavorava a un piano triennale che prevedeva aiuti alle aziende che investono nella transizione digitale e che si dotano di strumenti contro i cyber-attacchi e le fake news, un fenomeno che si è aggravato con l’emergenza sanitaria. Proponeva il sostegno fiscale e contributivo per stabilizzare figure finora rimaste nel limbo del precariato e per ricollocare giornalisti disoccupati.
Gli editori avrebbero goduto di contributi per organizzare corsi di formazione, di aggiornamento e per promuovere un ampio ricambio generazionale nelle redazioni. Altre misure riguardavano gli investitori con il recupero del 50% della spesa pubblicitaria sui media cartacei e online, i distributori di giornali e gli edicolanti con crediti d’imposta. E ancora il progetto Martella, defunto con il Conte2, prevedeva bonus alle famiglie dal reddito basso per acquistare tablet e abbonamenti ai giornali, voucher agli over 65 per gli acquisti in edicola e bonus-cultura da 500 euro per i diciottenni.
Tutto da rifare? Per ora siamo al rito dei reciproci auguri e del rinnovo delle buone intenzioni. Il sottosegretario Moles fa sapere che l’informazione è un bene primario, che nessuno sarà lasciato indietro e che presto incontrerà tutti gli operatori. Auspica che il comparto dell’editoria possa beneficiare delle risorse del Recovery Fund, ricorda che “in ballo ci sono anche posti di lavoro”, mette in stand-by i tagli approvati dalle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera e benedice gli emendamenti al decreto Milleproroghe che spostano di due anni l’entrata in vigore del graduale azzeramento del contributo ai giornali previsto con la manovra 2019.
Il timore di non poter accedere al lauto pasto dei 200 miliardi del Recovery Fund procurati dall’ex premier Conte grazie ai non scontati buoni rapporti con l’Europa del suo secondo governo, ha causato il “mal di pancia” degli editori dei media e il fuoco di sbarramento dei giornaloni contro il governo giallorosa. La Fieg, la federazione che riunisce i proprietari dei media, si è già fatta viva con un progetto nuovo. Suggerisce di promuovere l’innovazione e la trasformazione digitale con i fondi europei già garantiti da Martella. Chiede sostegni per la transizione digitale, per la formazione professionale multimediale e per la modernizzazione delle rete distributiva.
La Fieg stima che l’effetto combinato della crisi del settore e del Covid abbia provocato lo scorso anno la perdita di 600 milioni di ricavi. Gli aiuti che chiediamo, dice il presidente Andrea Riffeser Monti che è anche l’editore de Il Giorno, de La Nazione e del Resto del Carlino, sono “contributi alle spese per la digitalizzazione, la multimedialità, la gestione delle piattaforme e il miglioramento dell’efficienza aziendale”. Gli editori propongono l’informatizzazione e la modernizzazione delle edicole e un piano sinergico fra editori, distributori, operatori postali ed edicolanti per creare una rete logistica efficiente ed economicamente sostenibile di consegna a domicilio.
Tutti a parole auspicano che il Recovery Fund sia l’occasione per ripensare il settore dalle fondamenta e per mettere in sicurezza il sistema editoriale che, Costituzione alla mano, è un pilastro della democrazia. Ma ci sono anche delle responsabilità interne, sottolineate a suo tempo da Martella, che vanno combattute: “Bisogna scoraggiare ogni forma di elusione o di dumping contrattuale e affrontare il tema della dignità del lavoro giornalistico e del contrasto alla precarietà”. Insomma, d’accordo che arrivino i soldi dell’Europa, ma bisogna investire anche nel capitale umano, cosa che gli editori qualche volta, per non dire spesso, si dimenticano di fare.
Lo ribadisce il segretario generale della Federazione nazionale della stampa, Raffaele Lorusso: “Non è più pensabile che i sostegni diretti e indiretti al settore siano svincolati dal rispetto delle leggi e dalla corretta applicazione del contratto nazionale di lavoro. Il contrasto al dumping contrattuale e alla precarietà dilagante, attraverso il superamento per legge di forme di inquadramento che agevolano e incentivano lo sfruttamento dei giornalisti, rappresenta un punto irrinunciabile per il sindacato. Il Recovery deve essere l’occasione per cambiare radicalmente il settore dell’informazione e non l’ennesima distribuzione di risorse a pioggia”.
Anche perché senza le assunzioni di nuovo personale da cui dipendono le erogazioni contributive, l’intero sistema previdenziale e pensionistico finora assicurato dall’Istituto di previdenza dei giornalisti (che si è addossato il peso di molte crisi aziendali senza chiedere un euro allo Stato), è destinato a saltare. L’ente ha i conti in rosso e rischia a breve di essere commissariato. È questo che vogliono gli editori? Si preoccupano solo di incassare i quattrini europei o sono disposti una buona volta a tutelare la materia prima, cioè la qualità del lavoro che è poi il fattore decisivo del successo dei loro giornali?
Per la Federazione nazionale della stampa “bisogna riprendere il dialogo sul mercato del lavoro e sul contrasto al precariato, definire l’equo compenso per i lavoratori autonomi e le regole che impediscano l’uso non corretto di forme di lavoro atipico in luogo del lavoro subordinato. La direttiva europea sul copyright, il cui iter parlamentare non si è ancora concluso, è soltanto il primo passo verso un sistema di regole che tuteli gli investimenti delle aziende e il lavoro dei giornalisti dall’assalto dei giganti della rete”.
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