Per chi sente una certa sintonia con il centrosinistra la nomina di Enrico Letta segretario del Pd ha scacciato un po’ pessimismo e restituito qualche speranza. Durerà? Penso vada accantonata sia la risposta fideistica sia quella scettica.
La premessa culturale della sua leadership, per come io l’ho interpretata, è totalmente condivisibile. L’identità del Pd non può restare abbarbicata alle culture politiche del passato (spesso strumentalizzate) ma dev’essere concepita come un insieme di obiettivi e progetti pienamente riconoscibili e fondati su valori permanenti e vitali. È ciò che Letta rappresenta con la metafora dell’anima (i principi) e del cacciavite (l’azione concreta), entrambi essenziali.
Tante erano le risposte che il nuovo segretario era chiamato a dare per diradare le nebbie che si addensavano sulla sua elezione pressoché unanime ma sospettata di mille riserve. Con questa breve analisi ne prendo in considerazione solo alcune: Governo, Partito, Istituzioni, Alleanze.
GOVERNO DRAGHI: “È il nostro governo”, ha dichiarato. Via finalmente l’aria mesta con cui molti nel centrosinistra lo hanno accolto. Certamente è il governo che persegue l’itinerario riformatore che l’Europa, sempre più centrale, richiede per Next Generation EU: un piano per le nuove generazioni che il precedente governo aveva fortemente voluto mentre è Salvini che dovrà giustificare la svolta repentina.
Detto per inciso, l’estrema attenzione di Letta per questi problemi, per i giovani in particolare, è il frutto di un bagaglio culturale che viene da lontano e che i sette anni passati nell’insegnamento universitario hanno fortemente consolidato.
PARTITO E CORRENTI: “Non abbiamo bisogno di un nuovo segretario ma di un nuovo Pd”. È un terreno tutto da arare. L’enfasi sui circoli, sui territori, sulla periferia non ha – a mio avviso – solo un valore in sé in fatto di partecipazione. Deriva dalla necessità di cambiare un sistema nel quale i gruppi parlamentari detengono sul partito un potere debordante con delle correnti così organizzate che hanno assunto in questa legislatura dei caratteri paradossali. Necessario rovesciare il tavolo e riportare in primo piano la richiesta di più unità che sale dalla base sociale ed elettorale.
Penso che dopo il discorso di Letta i due capigruppo alla Camera e al Senato, Delrio e Marcucci, dovrebbero rimettere il loro mandato.
ISTITUZIONI: “La nostra democrazia è malata”. Una ventata di aria fresca le sue aperture sulla riforma del Parlamento, sulle regole per limitare il trasformismo, su un sistema elettorale che non favorisca la frammentazione.
Dopo il fallimento del referendum del 2016 sembrava proibito anche il solo parlare di queste cose come se l’immutabilità istituzionale fosse l’unico modo per star dentro il seminato della democrazia. Non è affatto così.
I “sacerdoti” della Costituzione più bella del mondo usciranno di nuovo allo scoperto e bisognerà batterli. Se nessuno ci monterà sopra, come ha fatto Renzi l’ultima volta, un plebiscito personale qualche innovazione rilevante si potrà ottenere.
ALLEANZE: I pilastri su cui il Pd cercherà di costruire una coalizione ampia ed inclusiva sono ben piantati per terra. La linea è di consolidare gradualmente il centrosinistra classico con pazienza e rigore e poi aprire ai grillini sulla base di progetti ben definiti e condivisi. Risultato realizzabile se il Pd sarà il perno delle operazioni puntando sul completamento dell’evoluzione del M5S guidato da Giuseppe Conte.
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