Guernica, capitale tradizionale e medioevale dell’Euzkadi, è una piccola cittadina della provincia di Biscaglia a pochi chilometri dal mare e dalla città di Bilbao. Coi suoi settemila abitanti è sempre stata la patria delle libertà basche. Sotto la sua celebre quercia i discendenti della Casa Reale spagnola giuravano di rispettare le leggi locali.
Guernica era del tutto priva delle benché minima importanza militare, del tutto indifesa, lontana dalla linea del fronte della Guerra Civile fra i nazionalisti “franchisti” e i repubblicani con al loro fianco le “Brigate Internazionali”, espressione della solidarietà armata di tutto il mondo civile in difesa della democrazia e della libertà.
Settantacinque anni fa, il 26 aprile 1937, un lunedì, giorno di mercato, i piccoli proprietari e i contadini di Guernica avevano portato, come succedeva ogni primo giorno della settimana, nella piazza centrale accanto alla Chiesa i prodotti della loro terra. C’era aria di festa, animali e tanta gente, soprattutto donne e bambini.
Il fronte di guerra era distante una trentina di chilometri, non c’erano immediati pericoli. La bella valle verde pareva al sicuro quando alle 16.30 il suono del campanone del Duomo aveva annunciato, con il suo suono potente, che c’era pericolo perché si stava avvicinando uno stormo di aerei. Dieci minuti dopo su Guernica erano comparsi gli Heinkel 111 del Gruppo Sperimentale della famigerata “Legione Condor” che avevano iniziato a bombardare l’abitato, mitragliando le strade con ordigni incendiari.
Aveva così inizio una delle più premeditate esperienze terroristiche della storia, vittima una popolazione inerme. “La prima strage degli innocenti del nostro tempo” aveva commentato il “Times” di fronte alla ferocia di Franco e del collaborazionismo nazifascista.
Agli Heinkel 111 erano seguiti i caccia bombardieri He-51 e, tre ore dopo, alle 19,15, gli Junker 52 partiti dalla capitale franchista Burgos e tre Savoia-Marchetti S 81 e S 99 dell’aviazione di Mussolini che avevamo completato l’aggressione dal cielo. La popolazione si era dispersa per la campagna ma non era riuscita a sfuggire all’eccidio. Bombe superiori ai cinque quintali, di grande potenza distruttiva, furono sganciate da ondate di aerei che si erano susseguite ogni venti minuti sino alle 19.45.
Tre ore di martirio. Alla fine il centro e l’immediata periferia di Guernica erano apparsi completamente devastati e in fiamme. I morti erano stati 1654, i feriti 889. Si erano salvati per miracolo la storica quercia e il Palazzo del Parlamento cittadino.
Alla voce del “Times” si aggiunsero quelle dei corrispondenti di guerra del “Daily Telegraph”, della “Reuter”, di “Star”, di “Ce Soir”, del “Daily Express”, di venti sacerdoti baschi (nove dei quali testimoni oculari) e del Vicario generale della Diocesi che scrissero al Papa fornendogli una versione dettagliata ed univoca degli avvenimenti (che la Santa Sede cestinò, sensibile, come è noto, più alla sconfitta comunista da parte delle falangi golpiste che alla violenza del Caudillo) mentre di pari passo la propaganda nazionalista aveva sostenuto sin dal 27 aprile falsamente che Guernica era caduta per mano degli stessi baschi (che non avevano fra l’altro un solo aereo!) e che nessun velivolo franchista, tedesco e italiano si era levato quel giorno in volo. Infatti Guernica fu violata il giorno prima!
Dieci giorni più tardi, nel Diario di un pilota nazista abbattuto dalla contraerea basca, fu scoperta alla data del 26 la parola “Garnika”. Il pilota, salvatosi, si era difeso sostenendo che si era trattato del nome della sua ragazza di Amburgo!
La campagna delle falsificazioni, mentre nel mondo la notizia del massacro aveva destato sensazione e orrore (uno dei piloti italiani del “Savoia Marchetti”, l’allora giovane tenente Paolo Moci, sette anni dopo, il 12 settembre 1943, avrebbe seguito, su un “caccia” decollato da Roma, il re e Badoglio al Sud salvando con la faccia la successiva prestigiosa carriera, seppur nel 2000, ultranovantenne, avesse candidamente e orgogliosamente dichiarato alla “Casa dell’Aviatore” di Roma ad un giornalista de “El Pais” venuto apposta da Madrid che quell’operazione era stata concepita “per impedire che il comunismo invadesse la Spagna e l’Europa”) non si esaurì se non dopo qualche mese, seppur ancora nell’ottobre del 1937 un ufficiale dello Stato Maggiore nazionalista avesse confermato al “Sunday Times”. “L’abbiamo bombardata, bombardata e bombardata, bueno por què no”.
La verità, malgrado i tentativi di depistaggio internazionale, è nota da decenni, trasferita nell’immortale tela da Pablo Picasso che, come raccontò Emile Langui, visse l’immane tragedia “come una cornata nel ventre”.
La mattina del 1° maggio 1937, a cinque giorni dalla distruzione di Guernica, il grande artista nel suo atélier parigino a n. 7 di Rue des Grands-Augustin, sulla riva gauche della Senna, iniziò a metter mano a quello che sarà il suo capolavoro più celebre terminandolo otto giorni più tardi. Un grande dipinto alto tre metri e quarantanove centimetri e lungo sette metri e settantasei, utilizzato all’origine come pannello decorativo per il Padiglione Spagnolo dell’Esposizione Internazionale delle Arti e delle Tecniche di Parigi.
Un dipinto affollato di figure austere, sconvolte, enigmatiche. “Il toro - spiegò un giorno Picasso – non è il fascismo. È la brutalità e la tenebra. Il cavallo rappresenta il popolo”. E ancora: “Nella tela esprimo chiaramente il mio odio per la casta militare che ha sprofondato la Spagna in un oceano di dolore e di morte”.
Il dipinto, frutto del filtro della trasfigurazione, riscrive dunque in chiave lirica, gli effetti del tremendo raid aviatorio ma non esibisce danni, li evoca, li lascia intuire. È la protesta contro la violenza, la distruzione, la guerra in generale.
L’opera fu acquistata dalla Repubblica Spagnola per centocinquantamila franchi francesi. Ma la Guerra Civile fu vinta dai franco-fascisti e per questa ragione “Guernica” fu inviata negli Stati Uniti ed affidata al Museum of Modern Arts di New York. Si trattò di un mero prestito sino a che in Spagna (era questa la volontà di Picasso) non fosse tornata la democrazia.
In realtà “Guernica” fu esposto in Spagna dopo una lunga battaglia legale fra gli eredi che ne rivendicavano la proprietà e il Museo americano solo nel 1981, sei anni dopo la fine del franchismo.
Ospite inizialmente al Cason del Buen Ritiro, un modesto distaccamento del Prado, dal settembre 1992 domina dall’alto del suo imperituro messaggio pacifista le sale del Museo National “Centro de Arte Reina Sofia”.
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