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Sento un po’ di vergogna nel constatare che tra gli atti con cui Draghi apre la sua “direzione” del Governo e del Parlamento Italiano c’è la consegna ai tecnici della Mc Kinsey della stesura dei piani di Next Generation. Bella storia, ovvero, un atto di palese sfiducia nella partecipazione e nel senso stesso della svolta europea verso il “Green”. Ma tant’è: probabilmente è esagerato irritarsi per l’ennesimo sfregio inferto al pubblico, dopo che tutti i mezzo-busti dei TG hanno apprezzato l’efficienza e la puntualità con cui il privato e l’élite internazionale risponderanno a remunerazioni certamente laute, che vengono dalle tasche dei cittadini.
Il terreno del conflitto di interessi è stato da troppi anni arato a dovere nel nostro Paese da dovercene lamentare solo quando spunta un governo “tecnico” che si ritiene libero da ogni vincolo. Voglio citare un caso che conosco e posso documentare. (v. https://www.recommon.org/) Esiste un protocollo tra l’Eni e il ministero degli Affari Esteri che permette al gigante petrolifero italiano di stanziare i propri uomini presso il dicastero per un periodo illimitato di tempo. Il tutto per facilitare un “raccordo” tra l’azione diplomatica italiana e gli interessi dell’azienda. Il documento, che non è stato reso pubblico, ribadisce da un lato il peso rilevante sulla politica estera del nostro Paese di cui gode Eni, tanto che la protezione dei suoi asset petroliferi ha motivato persino alcune delle missioni militari tutt’ora in corso, dall’altro come i meccanismi attraverso cui la società esercita questa influenza sugli apparati diplomatici italiani siano molto opachi. Un vuoto informativo che limita lo spazio di confronto su una materia di vitale importanza per la vita democratica dell’Italia, che racchiude temi come sicurezza, immigrazione, diritti umani, energia e clima.
A partire dal 2009 sono stati tre i manager del cane a sei zampe acquartierati al ministero degli Affari esteri. In coincidenza con il loro impiego, al ministero sono state prese importanti decisioni sugli investimenti italiani in paesi sui quali i manager avevano una precedente competenza specifica, segnatamente Russia e Mozambico. La presenza di Eni e delle altre compagnie fossili italiane all’interno di organi di coordinamento pesa indubbiamente sulle politiche energetiche e sul posizionamento che il nostro Paese terrà ai vertici sul clima. Inoltre, proprio per il PNRR ci sarà una linea diretta tra McKinsey, ENI, SNAM per i finanziamenti pubblici a nuovi progetti fossili.
Non possiamo infatti dimenticare il principio per cui chi inquina dovrà pagare ogni tonnellata di anidride carbonica molto più di quanto la paga oggi, altrimenti gli obiettivi climatici rimarranno fuori portata. C’è cioè, da ribadire la necessità di una carbon tax globale assai più onerosa di quanto paghino oggi le corporation delle fonti fossili. Secondo Bloomberg (una autorità in materia di energia non certo di matrice ambientalista) il prezzo della CO2 dovrebbe salire a 160 dollari per tonnellata nel 2030 per rimanere su una traiettoria compatibile con l’accordo di Parigi, vale a dire, contenere a +1,5-2 gradi l’aumento della temperatura media terrestre a fine secolo, rispetto all’età preindustriale. Nel 2020 il prezzo medio del carbonio su scala globale – considerando i diversi schemi di carbon pricing, tra cui l’ETS europeo – è stato di appena 22 dollari per tonnellata di CO2 emessa. In Europa si è arrivati recentemente a valori sui 40 euro/ton. Quindi le politiche per il clima dovrebbero puntare innanzi tutto a ridurre direttamente le emissioni di CO2 con investimenti in efficienza energetica, tecnologie pulite già competitive (eolico, solare) e intanto sviluppare alternative, come l’idrogeno verde, destinate ai settori più difficili da de-carbonizzare (trasporti pesanti, industrie). Ciononostante, da più parti si continua a sostenere, come ha fatto Eni di recente, che la cattura della CO2 sia un ingrediente indispensabile per azzerare le emissioni di CO2 entro metà secolo, in linea con gli obiettivi del Green Deal europeo e con gli impegni net-zero annunciati da Cina, Giappone altri Paesi.
Allora, in buona sostanza, quanto peseranno i pareri degli “esperti di parte” infilati nelle istituzioni democratiche, rispetto alle esigenze di salute e di consegna alle nuove generazioni di un Pianeta su cui il diritto alla sopravvivenza non dipende prevalentemente dagli interessi economici delle multinazionali che già dominano una globalizzazione restia a seguire le indicazioni di Francesco e di Greta?
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