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Attualità

FARE, POI DIRE

ROBERTO CECCHI - 12/03/2021

draghiDraghi tace, non parla, non fa conferenze stampa, non va in televisione. E quindi sono in parecchi a chiedersi il perché e il percome. A dire che sbaglia e a suggerirgli umilmente di farsi sentire. Addirittura, qualcuno sussurra con un fare mellifluo che ricorda tanto quell’Huriah Heep del romanzo di Dickens, quel signore che si gira in continuazione le mani adunche e tiene lo sguardo rivolto sempre rivolto in basso, senza riuscire a nascondere certi lampi luciferini, neanche sotto quel sorrisetto stampato. Insistono nel dire che agli attacchi si risponde. Che dovrebbe imparare ad entrare nell’agone politico. E intanto lui, zitto zitto, nomina subito il sottosegretario con delega ai Servizi, una delega che il precedente governo aveva ritardato tanto, da farla diventare un argomento di crisi. Designa il nuovo capo della polizia. Fa commissario un generale dell’esercito per disciplinare la distribuzione dei vaccini in Italia, cercando di mettere un po’ d’ordine nel disordine regionale. Ma soprattutto blocca la partenza di 250.000 dosi di vaccino destinate all’Australia. Di per sé non è una gran cosa. Non è una fornitura che possa risolvere né i problemi dell’Italia, né quelli dell’Australia. Ma è un segnale di attenzione vera e un monito per tutti, anche per l’Europa, come a dire che con questa pandemia, sulla salute degli Italiani non si scherza. È anche una dimostrazione di forza e d’indipendenza. Di capacità di decisione basata su fatti e non su impressioni del momento, come fa qualcun altro, che di mattina fa la spunta delle soluzioni da prendere “per il bene del Paese” sulle dita di una mano e di pomeriggio ne propone un’altra completamente diversa, mostrando orgoglioso la solita conta. Come se fosse un giochetto di società. Senza un minimo di prudenza e di coerenza. E di rispetto, aggiungerei.

Come se non fosse successo niente e non dovessimo contare migliaia di morti come si sta facendo, a cui, forse, ci siamo anche un po’ abituati, purtroppo. Mentre siamo di fronte a previsioni che fanno paura. Pare che nei prossimi venti giorni il numero delle vittime salirà ancora (Santucci, Corsera, 5 marzo). Dunque, non è il momento delle parole, non servono sceneggiate, ci vogliono fatti e che siano fondati su dati scientifici. Abbiamo visto che quando si fa così, poi, le cose migliorano. Anche se purtroppo il rigore scientifico l’abbiamo un po’ smarrito, s’è annacquato. E questa è una responsabilità che almeno in parte ricade proprio sulle spalle di certi scienziati che si son fatti ingolosire dal gusto della ribalta, senza capire che è un pericolo esiziale ridurre i procedimenti scientifici a chiacchiere da bar sport, dove si prende parte, dove ci si schiera con uno o con l’altro, a seconda della propria passione calcistica o politica. Mentre non è così per un discorso scientifico, dove non c’è motivo di prendere parte per una causa piuttosto che per un’altra. Quel che conta è la costruzione di un processo e la verifica delle ipotesi mediante esperimenti, approvando e disapprovando, provando e riprovando, come vuole il motto dell’”Accademia del Cimento”, l’istituzione voluta da Leopoldo de’ Medici, capace di sintetizzare in due parole il farsi di un processo di ricerca della verità. In quel processo le contrapposizioni sono salutari come un motore di ricerca, diremmo oggi, per verificare la veridicità delle proposizioni. E questo non ha proprio niente a che fare col bisogno d’iscriversi ad un partito piuttosto che ad un altro.

Il fatto è che tutto questo andrebbe spiegato bene a chi non ha dimestichezza con queste cose. Sappiamo ancora molto poco di questa pandemia e per questo si stanno sperimentando soluzioni a ripetizione che in parte vengono accolte e in parte rifiutate. Non si tratta di errori, ma del normale svolgersi della ricerca scientifica. Per ora – in questo lunghissimo anno di patimenti – abbiamo capito bene soltanto le cose essenziali, tant’è vero che per difenderci stiamo usando strumenti che erano quelli in uso già secoli fa. Per capirci, la quarantena è una forma di precauzione usata da sempre, quando si temeva la presenza di un’infezione e rispondeva allo stesso criterio che oggi abbiamo chiamato distanziamento sociale. La mascherina è, né più né meno (viste anche le frodi sulle certificazioni!), quella che usavano i medici durante la peste nel XVII secolo, con quel becco adunco, che poi è diventato addirittura una maschera di carnevale. E anche la pulizia delle mani era una precauzione usata in passato, sebbene non ci fosse coscienza di che cosa fossero i virus, che oggi invece conosciamo bene e sappiamo che hanno la dimensione di pochi milionesimi di millimetro. La vera novità rispetto al passato sono i vaccini. Abbiam fatto passi da gigante in questa direzione, ma vanno sperimentati e la terra promessa di questa ricerca non è ancora alle viste. Siamo ancora in mezzo ad un mare sconosciuto, come tanti Cristoforo Colombo alla scoperta dell’America, nella speranza di poter dire “terra!!!”.

Quindi Draghi fa bene a parlare il meno possibile. Che dovrebbe dire? Ha detto quel che doveva qualche giorno fa, presentando il programma di governo. Ha messo in luce i punti che toccherà e che farà questo e quello. C’è da immaginare che parlerà solo per darci lo stato d’avanzamento di quel che nel frattempo è riuscito a combinare e di quello che invece andrà modificato. Parlerà come fanno le persone serie per dirci lo stato d’avanzamento dei lavori. Fa bene Draghi a non infilarsi in questi teatrini televisivi dove non si cerca alcuna verità. Lo sanno tutti che lì bisogna parlare il meno possibile per evitare pericolose speculazioni. Lo aveva capito anche Monti, che difatti all’inizio della sua esperienza di governo parlava pochissimo. Faceva parlare il loden verde. Lo avevano capito molto bene anche i 5Stelle, che pure han costruito la loro fortuna sull’uso disinvolto dell’informazione. Entrambi all’inizio non avevano dato spazio alle comparsate. Poi han ceduto ed è stata la loro fine.

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