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Il punto blu

DOMINUS NOBISCUM

DINO AZZALIN - 05/03/2021

liberaDa bambino, mentre la maestra delle elementari Caccianiga-Broggi, ci faceva leggere la “Capanna dello zio Tom” ero convinto che, così come l’uomo mandava missili nello spazio, avrebbe avuto anche le risorse necessarie per sfamare quei poveri africani schiavi in America. Sono passati tanti anni ma le cose non sembrano cambiate, anzi semmai peggiorate, e quando si parla d’Africa, si pensa subito al fenomeno dei flussi migratori.

Certo non è un bel vedere i barconi che vengono a sommo di enormi pericoli e angherie subite da uomini, donne, soprattutto bambini, lungo un viaggio disumano e terribile. Nè vederli affollare luoghi di spaccio, emarginati e senza lavoro, senza dignità tra piazze e città, giardini pubblici, boschi, relegati in case fatiscenti, nelle periferie urbane, ultimi anelli di una catena debolissima. Noi in Africa ci andiamo in aereo, serviti e riveriti ma soprattutto muniti di un lasciapassare che è il passaporto. Mai tanti luoghi comuni si sono avvicendati in questi ultimi anni sul fenomeno della migrazione o come dice Papa Francesco su come l’Occidente interpreta il cristianesimo.

Un libro che ritengo prezioso a tutti coloro che hanno care le sorti dell’Africa ma non solo è “Libera nos Domine” di Giulio Albanese, giornalista, scrittore e tante altre cose, edito dalle Edizioni Messaggero di Padova, ma soprattutto missionario comboniano, già direttore del New People di Nairobi, e questo la dice lunga sulla autorevolezza dei contenuti. Per esempio quando padre Albanese parla di quei signori e signore che “brandiscono il santo rosario dimenticando che Gesù, era un mediorientale”, infatti era piccolo se non proprio nero, di carnagione certamente scura, e gli apostoli in quanto palestinesi fossero venuti in Europa sarebbero stati considerati “immigrati economici costretti alla clandestinità”, allora bisogna fare una riflessione profonda.

Ma andiamo con ordine il titolo reca un sottotitolo che è quello “ Sulla Globalizzazione dell’indifferenza e sull’ignoranza dell’idiota giulivo”. Ecco ragionando sul titolo preso in prestito dal Medioevo “A peste, fame, et bello libera nos, Domine” ovvero liberaci Signore dalla pestilenza, dalla guerra e dalla fame, dobbiamo fare alcune puntualizzazioni. Così pregavano i fedeli di allora e a dire il vero anche nelle campagne venete da cui provengo, fino ai giorni nostri. Albanese le chiama “rogazioni” cioè preghiere, atti di penitenza e processioni propiziatorie per la “buona riuscita delle seminagioni e contro le avversità di madre natura”e chi scrive le ha vissute in prima persona in quanto proveniente da una cultura contadina all’inizio degli anni ‘60 pregna di superstizioni e credulità popolari. E proprio per aver provato la condizione di immigrato anche se in forma più “fluida” credo di poter affermare quanto sia pesante lasciare la propria terra d’origine per essere trapiantato in un’altra che a volte non fa attecchire come dovrebbe la piantina appena nata.

Ecco perché il libello di Albanese è un piccolo manuale di resistenza umana, quella che fu anche per noi, immigrati veneti, l’atteggiamento triste contro “ i terroni” o i “polentoni” evidenziati da atteggiamenti aggressivi, emarginazione, parole sprezzanti, che alimentavano un clima di frustrazione, diffidenza, rabbia e rifiuto. A fronte anche di chi ci ha accolto, protetto, ci ha dato lavoro, insegnato un’altra lingua, e che ci ha consentito di avere una chance in più per esprimere al meglio le nostre attitudini e costruire una vita migliore. Io non sono un religioso, ma un uomo che ha il profondo rispetto della vita umana e per questo ha abbracciato la causa africana diventando volontario medico in terra d’Africa, così come “euntes, curate infirm, di Gesù medico del corpo e della Parola. Tutte cose che Albanese a fronte della sua erudita e colta sapienzialità umana tratta con l’autorevolezza di chi sa, di chi conosce, perché l’ha trattata direttamente con mano, le grandi problematiche dell’Africa sub sahariana.

Ricordo una sua famosa intervista “Afriche” (reperibile anche su You Tube) dove dice che il Continente Nero è la metafora delle nostre contraddizioni del nostro povero mondo, “vertici di progresso mai prima raggiunti si associano ad abissi di perplessità e di solitudine anche sì senza precedenti”. Ma quello che mi aveva colpito di più è stata la frase “L’Africa non è povera, semmai è impoverita”, e io aggiungerei stuprata, spremuta, vilipesa in secoli di abbandono, di schiavitù, di servilismo, di colonialismo, di fame e malnutrizione, l’hanno resa ancora più derelitta. Non parliamo poi della situazione attuale dove pure i cinesi stanno facendo anche la loro parte depredandola di importanti materie prime. Allora “Libera nos Domine” diventa un libro importante per capire meglio come non essere contagiati dal virus di un pensiero debole di cui la stupidità umana di cui l’idiota giulivo è l’archetipo.

Non parliamo poi della ricchezza che Albanese affronta in modo più che palese dove in Italia, il 5%più ricco detiene la stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% più povero del paese. Bellissimo il punto dove viene citata la parabola del buon samaritano, in cui un sacerdote, un levita e un samaritano vengono messi a confronto sul tema che Gesù definisce “il tuo prossimo” che non è colui che viene amato ma colui che ama. E si confronta con quello che diceva nell’intervista che l’Occidente a volte si comporta come il ricco epulone di fronte a Lazzaro, ci sentiamo benefattori nei confronti delle Afriche. Ma è qui che si sbaglia l’Occidente, dove Albanese riprende i temi a lui più cari, l’Africa non sa che farsene della nostra elemosina, della nostra “carità pelosa”, baluardi di nuove e pericolose dipendenze, creando un nuovo colonialismo di tipo economico, l’Africa chiede piuttosto giustizia sociale.

Ancora una volta Albanese esorta a riflettere sul futuro delle nostre generazioni, sul pensiero ma soprattutto sulla parola “diversità” come “occasione” prima ancora che sfida politica, economica, religiosa. La partita si gioca prima di tutto su una sfida culturale. Non abbiamo scelta di fronte alla res pubblica dei popoli, noi abbiamo un destino comune su questo pianeta e l’ignoranza è un virus ben più tremendo del Covid 19 e l’ha ampiamente dimostrato con le recenti politiche migratorie. Siamo tutti sugli stessi barconi quando si tratta di rischio di vita e contagio. Chissà se quando l’uomo metterà piede anche su Marte, esisterà ancora tutto questo, ma se sarà ancora così, non solo Giulio Albanese avrà scritto invano i suoi libri, ma avremo la conferma che nel DNA umano c’è qualcosa di sbagliato nella sua formazione primordiale, e forse qui, anche Dio (o l’uomo?) avrà avuto le proprie colpe.

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