Si assiste, giorno per giorno, allo sfruttamento insensato ed egoistico dei beni che Dio ha destinato universalmente all’umanità, con accaparramento degli stessi, spreco dell’acqua, inquinamento, devastazioni. La sovranità sul creato ci è stata delegata per un dominio che implica una custodia gelosa e attenta, senza pericolose compromissioni per il futuro, col rischio di minare le condizioni stesse di vita. A noi il compito di operare, trasformare e investigare le potenzialità della natura col lavoro e l’attività scientifica, in funzione dei legittimi bisogni e “nel rispetto degli intrinseci equilibri del creato stesso”. La natura per un verso non è un tabù intoccabile, ma nemmeno un oggetto d’abuso. “L’ambiente naturale non è solo materia di cui disporre a nostro piacimento, ma opera mirabile del Creatore, recante in sé una grammatica, che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario” (Caritas in veritate 48).
Già a metà degli anni ’70 il rapporto Dag Hammarskjöld svolgeva una critica serrata del modello di sviluppo dominante. Nel 1987 la Commissione Bruntland proponeva il concetto e programma di uno sviluppo sostenibile in funzione dei bisogni futuri, non solo di quelli attuali, con note sullo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico, i cambiamenti istituzionali necessari, l’effettiva partecipazione dei cittadini nei processi decisionali, la necessità di una maggiore democrazia a livello delle scelte internazionali. Il decennio 2005-2014 è stato proclamato come quello dell’educazione allo sviluppo sostenibile. Ne discende l’affermazione dei diritti di solidarietà (pace, equilibrio ecologico, difesa ambientale, autodeterminazione dei popoli). La Conferenza delle Nazioni Unite tenutasi a Copenhagen nel dicembre del 2009 ha raccolto un grande consenso sui contenuti, senza però approdare ad alcun accordo politico. Scarsi frutti hanno fatto registrare altresì le conferenze sul clima di Cancun (2010) e di Durban (2011).
Tutto questo di fronte alla previsione di un aumento del quaranta per cento del fabbisogno energetico nei prossimi trent’anni, mentre allarma il cambiamento climatico in corso (innalzamento del livello dei mari, arretramento dei ghiacciai, incremento delle frane). L’alternativa del nucleare è in chiaro regresso, la variabile idrogeno è per ora una rivoluzione tecnologica con ingenti investimenti pubblici. Al contempo si impongono una riduzione dei consumi soprattutto privati con stili più sobri di vita, una drastica riduzione dei rifiuti, il cambio radicale del paradigma economico-sociale dominante. Non si può concepire una crescita illimitata con una espansione continua e una competitività radicale di fronte alla limitata disponibilità di risorse naturali e ad una limitata capacità di assorbimento delle sostanze inquinanti, onde il rifiuto del consumismo e l’abolizione del superfluo, si dà spazio così maggiore ai valori relazionali. Anche l’ambiente è titolare di diritti nell’etica della responsabilità.
Un documento del 2011 della Compagnia di Gesù dal titolo Ricomporre un mondo frammentato propone nella dimensione dell’ecologia un triplice dovere di riconciliazione con gli altri, con il creato e con Dio, colla necessità di superare ogni antropocentrismo miope nella considerazione della natura. Non si può violentarla nella corsa sfrenata al progresso, manipolarla disordinatamente. Oltre tutto Dio creatore agisce non come esterno alla propria opera, bensì rimane presente in essa. La cura del creato è un dovere cogente. Le tradizioni religiose propongono un modo di entrare in relazione con la natura che la esalta e la protegge; i popoli indigeni rappresentano un modello di relazione con l’ambiente integrata e sostenibile.
You must be logged in to post a comment Login