Come si fa a sostenere che oggi è uguale a ieri, che nulla è cambiato, che Draghi fa al modo di Conte? Allora, breviter : il nuovo premier ha sostituito il capo della Protezione civile, il commissario straordinario all’emergenza, il responsabile dei servizi segreti. E poi, anzi prima, l’équipe ministeriale che tratterà la questione economico- sociale, a iniziare dalla stesura del Recovery Plan. Un macrodettaglio, a proposito della discontinuità: il progettone sarà riscritto da cima a fondo, se n’incaricherà il presidente del Consiglio. Egli ipse. Collaboreranno i tecnici della ristretta squadra -pragmatica e non parolaia task force- cui tocca imprimere il tratto distintivo al governo. Cioè: a contare sono pochi e buoni, gli altri seguono, con funzioni marginali. Importanti, certo, ma affatto decisive. Così, per chiarire.
C’è di più. Draghi va impostando un rapporto smart and easy con l’Europa. Era prevedibile che il suo impatto fosse ben diverso da quello del predecessore. Onore al secondo per aver portato a casa 209 miliardi di sostegno comunitario, fiducia nel primo cui spetta d’ottenerne l’esecutività d’utilizzo. Vuol dire che o spendiamo in opere realizzabili nel periodo medio-lungo questi soldi o ce li vediamo ridurre, se non sottrarre. A Bruxelles pensano che il nostro leader saprà ottimizzare il finanziamento. Non è roba da poco, è roba decisiva.
Cartina di tornasole dell’accredito fiduciario, altrimenti chiamato standing personale, è quanto ha scritto nei giorni scorsi il Financial Times. Ovvero: al ritiro della Merkel nel settembre venturo, l’asse continentale poggerà sulla direttrice Macron-Draghi. Testuale: “Il nuovo potere europeo sono loro due”. Perché? Perché non si sa chi prenderà il posto della Cancellierona, e se il prescelto manterrà l’impegno a conservare l’aiuto di tutti i Paesi dell’Unione a quelli in tragica difficoltà. Dunque bisogna prevenire le sorprese. Dunque bisogna alzare un muro di fronte a possibili sfarinamenti. Dunque bisogna alleare i più autorevoli alleabili. Il Financial Times li identifica in Macron e Draghi. Riassumendo: da zavorra dell’Ue ne potremmo diventare l’àncora di salvezza. Questo per raccontare di quanto stia mutando la considerazione altrui verso di noi.
A che serve una tal chiacchiera? È propedeutica al concreto sperare in una rivoluzione vaccinale che ci permetta d’uscire dall’inferno della pandemia. Ce la si farà tramite l’adoperarsi di tutti, ma seguendo la guida d’alcuni. D’una ridottissima minoranza. D’un paio di statisti. Ecco, due, non di più. E forse uno soltanto, alla fine. La loro parola, la sua parola, peserà nell’azione di convincimento sulle case farmaceutiche a dare all’Europa, e ai Paesi dell’Europa in maggiori ambasce, ciò di cui necessitano. Magari perfino a mollare quei brevetti che, in nome dell’etica e nella disgraziata circostanza, dovrebbero venir messi nella disponibilità di chiunque sappia produrre motu proprio il medicinale salvavita.
Dite se quel che sopra è una novità oppure no. Dite se chi vi sta lavorando ha bisogno di dichiarare qui e là, anziché d’agire in concreto silenzio. Dite se, nella mano di sventura occorsaci, non abbiamo pescato il jolly che può ribaltare la sorte. Dite se non è penosamente ridicolo che il partito uno, due, tre s’impanchi a rivendicare la primogenitura d’iniziative delle quali viene messo a parte quando sono già in itinere. Portino acqua al mulino della causa nazionale, i partiti meritevoli d’averla finalmente sposata, e stiano zitti. C’è chi gli fa da Pigmarione, ovvero da maestro/garante/pigmalione appunto, e tanto basti. Almeno per ora.
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