In questo periodo le riflessioni sull’organizzazione della scuola prescindono per forza di cose dalle tante variabili che su di essa incombono. Come l’andamento dei contagi nelle scuole o la temuta diffusione delle varianti covid a cui potrebbe seguire la possibilità di nuovi lock down regionali o nazionali.
Certo è che nel caso di un serio peggioramento del quadro pandemico, il dibattito sul tema scuola sarebbe sopraffatto dall’urgenza di garantire prioritariamente la salute a studenti e famiglie oltre che alla comunità intera.
Vorrei esprimere un parere sulla proposta di prolungamento delle lezioni avanzata dal presidente Draghi e abbracciata, ma solo in un primo tempo, dal Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi.
Draghi aveva appena accennato all’ipotesi di garantire agli studenti un’ulteriore quantità di tempo scuola per rimediare alla secca perdita di ore in presenza causata dall’altalena di aperture e chiusure che dalla fine di ottobre hanno caratterizzato questo travagliato anno scolastico.
A reagire negativamente sono stati per primi i sindacati della scuola, tutti senza distinzione, che sono partiti all’immediato contrattacco.
Il neo ministro Bianchi si è affrettato a precisare che la sua adesione alla proposta di Draghi era interlocutoria, niente di prestabilito o di obbligatorio: espressioni che in politichese stanno per “il personale della scuola stia tranquillo, non se ne farà nulla”.
Le opposizioni al progetto sono state numerose; sono arrivate da più parti, più o meno con questa sequenza:
Una possibile risposta alla richiesta del Governo è stata individuata: a scuola fino al 30 giugno si sarebbero potuti mandare i bambini!
La scuola primaria non ha esami finali pertanto il prolungamento delle lezioni potrebbe offrire ai più piccoli un ulteriore periodo di socializzazione.
Senza sottolineare il fatto che a questa fascia d’età, e solo a questa, sono state garantite le lezioni in presenza per tutto l’anno e quasi dovunque nel paese.
Può darsi che io esageri mostrandomi scandalizzata da questa quantità di opposizioni.
Ma mi sarei aspettata una società dove tutti, ma proprio tutti, sono disposti a dare una mano al proprio paese soprattutto in circostanze di pesanti difficoltà.
Sarebbe consolante vivere in una società dove anche gli insegnanti, come il personale sanitario impegnato per lunghi mesi e per dodici ore al giorno senza riposi e senza ferie, siano disposti a impegnarsi ulteriormente per sostenere la “propria” scuola, che è sistema in difficoltà da anni e ancora più in crisi in questa pandemia; una società dove i dirigenti scolastici, anziché indebolire le ragioni della proposta governativa, provino a far fronte all’impresa “straordinaria” di offrire a una generazione sacrificata dalla pandemia un supplemento di istruzione.
Che cosa chiedo alla scuola?
Più coraggio e più cuore.
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