Giornate piene e agenda fitta di appuntamenti per papa Francesco, incalzato dalle preoccupazioni per il previsto deficit di bilancio dello Stato vaticano, occupato dalla campagna di vaccinazioni nella Santa Sede (Bergoglio ha già ricevuto la seconda dose) e dall’incontro con la poetessa ungherese Edith Bruck, scampata al campo di prigionia di Auschwitz-Birkenau e apprezzata autrice del libro Il pane perduto. Ora si aggiungono i preparativi per il pellegrinaggio in Iraq dal 5 all’8 marzo. Un viaggio blindato, ad alto rischio. Una missione difficile nella terra in cui i vecchi e nuovi adepti del Califfato preparano il ritorno a colpi di attentati.
Il papa non ha paura. Già da tempo aveva confidato ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede di voler riprendere i viaggi apostolici. Lo aveva promesso al primo ministro iracheno Mustafa Al Khadimi quando lo ricevette in Vaticano, nel 2018 e nel 2020, ma fu poi costretto a rimandarlo per la pandemia. Un vecchio sogno, tra l’altro, di papa Woytjla. Giovanni Paolo II avrebbe voluto visitare nel 1999 l’antica terra compresa fra i fiumi Tigri ed Eufrate, fra Baghdad e il golfo Persico, prima tappa del pellegrinaggio giubilare nella terra di Abramo. Il viaggio fu cancellato dopo lunghe trattative per l’opposizione di Saddam Hussein.
Bergoglio lo consiglia ai giornalisti e dà il buon esempio, bisogna muoversi, andare a vedere, testimoniare di persona. “I viaggi sono l’occasione propizia per approfondire il rapporto tra religioni diverse – dice – Il dialogo interreligioso è una componente importante nell’incontro fra popoli e culture, inteso non come rinuncia alla propria identità, ma come occasione di conoscenza e arricchimento reciproco. È un’opportunità per i leader religiosi, per i fedeli delle varie confessioni e un aiuto all’azione dei leader politici per costruire il bene comune”. Il papa va in Iraq, infatti, per diffondere il messaggio di fratellanza, convivenza e pace tra sciiti e sunniti.
Incontrerà a Najaf l’ayatollah Alì Al-Sistani, la massima autorità sciita. Due anni fa, il 4 febbraio 2019, aveva visto ad Abu Dhabi l’altro protagonista religioso iracheno, l’imam Ahmad Al-Tayeb, la massima autorità dell’Islam sunnita. In quella occasione i due leader religiosi avevano condannato “il terrorismo che minaccia la sicurezza delle persone sia in Oriente che in Occidente, sia a Nord che a Sud, spargendo panico, terrore e pessimismo, fenomeni che non sono causati dalla religione, anche se i terroristi la strumentalizzano”. E in un documento congiunto avevano sottolineato che “il concetto di cittadinanza si basa sull’uguaglianza dei diritti e dei doveri”.
Concetti che Francesco ha ripreso nell’ultima enciclica sociale, Fratelli tutti, e che saranno al centro dei discorsi che terrà in Iraq. Oltre a Najaf visiterà la capitale Bagdad, la terra di Abramo Ur dei Caldei, Erbil dove celebrerà messa davanti a diecimila fedeli distanziati e con posti prefissati, Mosul, la città della quale sono originari la maggioranza dei cristiani e Qaraqosh, un piccolo villaggio della piana di Ninive dove sono sfollati molti cattolici sfuggiti alle violenze dell’occupazione jihadista. Ma il patriarca iracheno cardinale Louis Raphael Sako puntualizza che “Bergoglio non viene per risolvere i problemi dei cristiani, perché questo compito spetta al governo”.
In Iraq il terrorismo è tutt’altro che sconfitto. Lo testimoniano i recenti attentati messi a segno dalle forze del rinascente Stato Islamico attestate sulle alture a sud di Kirkuk, il capoluogo di una provincia ricca di petrolio. Il 21 gennaio gli jihadisti hanno rivendicato il duplice attentato suicida al mercato di Bagdad che ha provocato trentadue vittime. I gruppi paramilitari agiscono nei territori di cinque province e covano vendetta contro gli Usa dopo il razzo che il 3 gennaio 2020, durante l’amministrazione Trump, uccise all’aeroporto di Bagdad il generale iraniano Soleimani e il capo hezbollah Mahdi al-Mohandes. Per non dire dell’uccisione in Siria del califfo Al Baghdadi nel 2019.
Le cose cambieranno con la presidenza Biden. La coalizione internazionale Nato presente in Iraq passerà dalle gestione statunitense a quella atlantica con un potenziamento dei ranghi garantito dai Paesi europei e canadesi, quattromila militari incaricati di addestrare le truppe che combattono la rinascita dello Stato islamico. L’Italia avrà il contingente più numeroso e, quando lo schieramento sarà completo, dovrebbe assumere il comando. Attualmente i militari italiani in Iraq e Kuwait sono 1100 tra uomini e donne. Gran parte del personale civile occidentale ha già lasciato il Paese, uno scenario difficile con interessi che coinvolgono anche Siria, Iran e Turchia.
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