Italo Calvino ricordava il diritto e il dovere di rileggere dei libri, i cosiddetti classici. Ma questo dovrebbe essere liberamente esteso a quei romanzi che, letti dopo anni, impongono nuovi interrogativi e – forse – nuove risposte. Uno di questi potrebbe essere La foiba grande di Carlo Sgorlon.
Lasciamo momentaneamente da parte la definizione di fiction storica (non bastava dire romanzo storico?). Evitiamo anche un commento letterario e un giudizio storico ma apprezziamolo per il coraggio della pubblicazione nel 1992 e per il racconto di quanto sembrava inenarrabile. Basti ricordare quello che si legge sul risvolto di copertina: “Le drammatiche vicende dell’ex Jugoslavia richiamano alla memoria la tragedia che travolse gli italiani d’Istria durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Una pagina oscura della storia che Carlo Sgorlon riporta alla luce narrando le vicende di Benedetto e della gente di Umizza. Un dramma umano, familiare, corale, in cui l’odio cancella l’amicizia, la paura annulla la fiducia. È l’incubo della morte nelle buie profondità delle foibe, il dramma dell’esilio forzato da una terra amatissima. Tra leggenda e verità, un omaggio forte e struggente ai morti e ai sopravvissuti di una guerra dimenticata”.
Solo per inciso questa sintesi è riportata sulla pagina Internet dedicata a Giorgio Perlasca, la cui storia umana ci porta alla tragedia del Novecento.
Pensando all’orrore delle foibe, è, comunque, importate avere la consapevolezza che in quella pagina oscura, come nella selva oscura, non dobbiamo né smarrirci né essere impauriti da belve che hanno il nome di: ideologia, opinione, memoria (o ricordo) formale. Anzi avere il coraggio di ammettere che il friulano Sgorlon fu in quell’ormai lontano 1992 uno scrittore controcorrente. Si potrebbe applicare anche agli studi storici una sua riflessione relativa alla scienza. «Come potremo – scrisse – vivere in una dimensione totalmente razionale, quando siamo circondati dal mistero da tutte le parti? Si dirà: ma la scienza mette in fuga il mistero … Falso. La scienza non fa che spostare il mistero sempre più in là. Alza la soglia». Anche la ricerca storica sposta sempre di più non il mistero ma il campo di lettura. Rende, insomma, possibile capire quello che la letteratura ha immaginato o fatto intuire. O meglio comprendere quello che sembrerebbe bloccato (ma ben sappiamo che non è così) da un presunto determinismo razionale negli accadimenti storici. E ben si sa che i fatti, anche se ben documentati, devono essere interpretati. E interpretare non è strumentalizzare. Almeno non dovrebbe. Anche le recenti e ripetute polemiche per la ricorrenza del giorno del ricordo paiono esserne la smentita. Basti ricordare lo strascico di critiche a seguito dell’intitolazione di una targa in una scuola media del comune di Bagnatica, in provincia di Bergamo che ricorda insieme le vittime della Shoah e delle foibe. Oppure alle polemiche per il recentissimo libro di Eric Gobetti, E allora le foibe?, contributo per capire gli scenari storici di una delle pagine nere della storia novecentesca. In modo opportuno molti si sono posti proprio in questo 2021 la domanda di che cosa parliamo quando parliamo di foibe e del giorno del ricordo. Sembra una domanda forzata ma forse è indispensabile per ricordarci che molte volte si polemizza e ci si fa pericolosamente una opinione sommaria o – peggio- ancora – soltanto di rinforzo di quello che vogliamo sapere.
Insomma la data scelta per ricordare gli italiani vittime di massacri e i trattati di pace di Parigi firmati nel 1947, proprio il 10 febbraio a cui seguirono gli esodi dalla Dalmazia e dall’Istria, rappresenta ancora una pagina da leggere con una autentica cultura storica. Le pagine di Sgorlon non sono certo sufficienti ma almeno ci fanno ricordare il dolore umano.
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