La nota a seguire non pesca dal servo encomio. Neppure dall’enfasi patriottica. Soltanto dal realismo banale. Ovvero: Mario Draghi s’è assunto il compito di svolgere una missione. Né più né meno. Che cos’è, se non una missione, il tentativo di salvare l’Italia dalla pandemia, dalla crisi economica, dalla disfatta sociale? L’ex capo della Bce poteva godersi una tranquilla, ricca, gratificante pensione dedicandosi a moglie, figli, nipoti, hobby. Aveva nulla da guadagnare nel rispondere alla chiamata di Mattarella, avrà tutto da perdere nell’obbedienza a un’omerica responsabilità. Se n’è fatto carico, viva lui e viva noi, che -comunque vada- non potevamo metterci in mani migliori.
Chapeau bas, come si dice. Chi si prende un simile rischio, è animato da energia speciale: una misteriosa forza interiore. Non l’intriga la bassa voglia di potere, ma l’alto spirito di servizio. Dirlo non significa, al modo dei turiferari, spargere fumi d’incenso attorno al prescelto (o aspirante martire?). Significa riconoscere un’evidenza. Altro che tutor di maxinteressi e difensore d’una casta di potenti, per non citare peggiori, stolide e volgari accuse. Abbiamo un premier che, calato il buio sul suo Paese, crede nell’obbligo d’adoperarsi per soccorrerlo. Tutto qui. Tutto semplice. Tutto ovvio. È il ‘vincolo di cittadinanza’, il comune senso d’affiliazione nazionale. Evocato dalla persona giusta, sia pure arruolata tardi e in modalità rissa.
Gli toccherà fare cose straordinarie, imposte dal catastrofico frangente. Che vi riesca, dipende dalla risposta in arrivo dai colleghi di governo, dal parlamento, dai partiti, dagl’italiani. Il presidente del Consiglio non ha praticato esercizio retorico dichiarando che, in un tempo simile all’ultimo dopoguerra, l’unità è un dovere. Non esiste diversa possibilità di salvezza: tutt’insieme per venir fuori dall’emergenza, ciascuno con la sua competenza, i suoi talenti, il suo cliché d’adattamento al disagio, la sua disponibilità verso il prossimo. Il prossimo non è una chiacchiera vana e vaga: il cattolico Draghi lo sa bene, e citando il Signore e chi lo rappresenta in terra ha voluto mandare un messaggio di fede nel buon esito dell’impresa, di cui beneficeranno soprattutto gli ultimi.
Se il governo appena nato dimostrerà di poter vincere una sfida al limite dell’impossibile, aderendo alla visione forward looking -guardare avanti, specialmente a pro delle nuove generazioni- manifestata dal suo leader, appare chiaro che la durata non dovrà limitarsi a pochi mesi, ma prolungarsi assai. Dunque nessun cambio di scena tra un anno, quando bisognerà eleggere il nuovo presidente della Repubblica e si pronostica la staffetta Draghi-Mattarella. Sembra indispensabile che l’attuale inquilino del Quirinale resti al suo posto, che idem succeda a Palazzo Chigi e che l’eventuale trasloco del premier avvenga più avanti. Interrompere un lavoro ben svolto, com’è augurabile si riveli pur se fra prevedibili e accese contrapposizioni fra alleati, sarebbe più che un delitto. Sarebbe un errore.
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