Due atteggiamenti caratterizzano il fariseo. Cosciente della propria dignità, egli sta ritto in piedi e prega tra sé, per compiacersi; non è pervaso da santo timore né da stupore davanti alla maestà di Dio. Per esaltare sé stesso, denigra gli altri. Questa però non è vera preghiera: facendo così il fariseo non rende culto a Dio, ma brucia incenso davanti al proprio “io”. Il Signore, che è il Padre degli umili, distoglie lo sguardo dal superbo e lo volge proprio là, in fondo al tempio, dove, battendosi il petto e con gli occhi bassi, verso terra, il pubblicano sussurra: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
La preghiera del fariseo aveva per soggetto il suo “io” ingombrante, quella del pubblicano ha per soggetto il “Tu” liberante: al Signore misericordioso chiede pietà. Sono parole sincere, spezzate dalle lacrime, che commuovono il cuore di Dio, perché si mette alla sua presenza in tutta la sua povertà.
Il primo genere di umiltà consiste nello stimare il proprio fratello più intelligente e superiore in tutto; in una parola nel ‘mettersi al di sotto di tutti’.
Il secondo genere di umiltà consiste nell’attribuire a Dio tutto quello che riusciamo a fare. Questa è l’umiltà perfetta dei santi, che nasce naturalmente dalla pratica dei comandamenti.
Accade infatti come alle piante cariche di frutti; i frutti fanno piegare i rami verso terra, i rami che non portano frutti invece salgono diritti verso l’alto. “Ci sono alcune piante che non danno frutto, finché i loro rami si innalzano verso il cielo, ma se si prende una pietra e la si appende ai rami per trascinarli verso terra, allora danno frutti. Così avviene anche all’anima: quando è umiliata, porta frutto, e quanto più porta frutto, tanto più si umilia, poiché quanto più i santi si avvicinano a Dio, tanto più si riconoscono peccatori” (Doroteo di Gaza, Scritti e insegnamenti spirituali).
Racconta lo stesso autore: «Ricordo che un giorno parlavamo dell’umiltà; un notabile di Gaza ci sentì dire che quanto più ci si avvicina a Dio, tanto più ci si riconosce peccatori e pieno di stupore ci chiese: “Com’è possibile?”. Gli risposi: “Signore, tu che sei importante, chi pensi di essere nella tua città?”. “Mi considero il più grande, il primo della città”. Gli chiesi: “E se te ne vai a Cesarea, chi penseresti di essere?”. “Mi considererei inferiore ai grandi che stanno là”. Gli dissi: “E se andassi ad Antiochia? Come ti considereresti”. Mi rispose: “Mi considererei un provinciale”. Gli dissi: “E a Costantinopoli, vicino all’imperatore, là chi ti sentiresti?”. “Mi considererei un miserabile”. E allora gli dissi: “Ecco, così sono i santi; quanto più si avvicinano a Dio, tanto più si riconoscono peccatori». Questa è l’umiltà dei santi: la si vede dalla disposizione del loro cuore.
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