In questi tempi social e un bel po’ anarchici, i ragazzi si adattano allo spirito del tempo e tanti di loro li troviamo aspiranti star della rete; la qualifica più comune che danno a se stessi, laddove fino a quindici anni fa non avrebbero potuto dirsi che “studenti”, è oggi “influencer”, oppure “tiktoker”.
Parliamo di quegli adolescenti (maschi e femmine) di bell’aspetto e poca esperienza che godono di seguiti importanti, anche centinaia di migliaia o milioni di seguaci, e quindi si atteggiano nelle cose della vita già a “maitre a penser”, quali in effetti fondamentalmente sono: dicono agli altri cosa fare, comprare e pensare, in cambio di molti soldi degli sponsor e una montagna di cambi-merce, specialmente sneakers di gran marca.
Il nuovo docu-reality “La Caserma” (RaiDue, mercoledì ore 21.20), nato sulla scorta del successo de “Il collegio” (in onda dal 2017), tenta la strada di immergere alcuni campioni della suddetta generazione di teenager nell’ambiente severo e spoglio della leva militare. Certo, il clima di questa caserma potremmo dire che sia “politicamente corretto”, più vicino alla sessione di un corso di sopravvivenza per impiegati nel fine settimana o di una battuta di “soft-air” (una sorta di simulazione di guerriglia che si può fare nei boschi dietro casa, purché equipaggiati come incursori d’assalto), che a una reale scena di leva del tempo che fu. Ma gli spunti curiosi non mancano lo stesso.
Intanto, la scelta accurata del cast che ovviamente riprende le collaudate categorie deamicisiane: il grosso dal cuore tenero, il goffo ma colto, il povero con le idee chiare, il cattivo che sarà redento ecc… impossibile sfuggire all’immedesimazione, del come si è stati o del come si è.
La caserma è comandata da un ex parà del Reggimento Col Moschin, che deve recitare in commedia la parte dell’osso duro, anche se in realtà pare un po’ addolcito dalla pensione (forse non a caso, perché i temi marziali di “Ufficiale e Gentiluomo” suonerebbero come parodia fuori tempo massimo) e il processo di integrazione dell’eterogenea truppa passa attraverso alcuni snodi simbolici cruciali, che già si erano visti nel succitato programma cugino “Il collegio”: l’arrivo delle nuove leve condito di supponenza, il rito della spoliazione dei simboli della giovinezza (alle ragazze viene tolto il trucco e la biancheria intima più sexy, ai ragazzi viene imposto di rinunciare a orecchini, piercing e acconciature trendy) e della contemporaneità (via smartphone e ogni altro attrezzo digitale), la consegna di una divisa e l’ingresso nella camerata, dove la cosa più colorata sono gli armadietti beige.
Seguono poi – nella narrazione televisiva tenuta in piedi da un montaggio serrato ma non ansiogeno – le prime prove di destrezza fisica, dove emergono con naturalezza i sentimenti e gli stati d’animo che ci si aspetta: l’amicizia, la solidarietà, lo spirito di gruppo ma anche la rivalità e la voglia di superare il proprio limite. Come detto, il format prevede – in un’ottica giustamente contemporanea – la compresenza di maschi e femmine, che aggiunge quindi al menù l’ovvia ma sempre gustosa dinamica della rivalità amorosa, della gelosia, del corteggiamento e del primo incontro, ovviamente rigorosamente in mimetica e anfibi.
I ragazzini – a cui viene insegnato come marciare ben inquadrati, cantare l’inno, rifarsi il letto (con il proverbiale “cubo”), servire a mensa e fare corvée alle latrine o in camerata – si prestano alla parte come se fosse (e in effetti, per loro lo è…) un gioco di ruolo fuori dal tempo in cui anziché fronteggiare un drago o un orco di tolkeniana memoria, c’è da schivare le urla della caporale tignosa. Questa loro ‘nonchalance’ – a onor del vero – toglie un po’ di pathos alla vicenda, ma dopo decenni passati a smontare la retorica del timore e il rispetto per l’Istituzione, portata avanti in primis dal ceto politico, non ci si può aspettare molto da una ventina di ragazzini figli del loro tempo.
Quanto al pubblico che segue piuttosto numeroso il programma (i primi episodi hanno superato il 7% di share) va sostanzialmente diviso in due categorie distinte e normalmente di rado raggruppabili in un solo bacino d’ascolto (e qui sta la riuscita del format): una parte è quella dei coetanei dei protagonisti, che ne segue le vicende con il trasporto che si riserva – da che mondo è mondo – a chi è costretto a subire dalla vita inenarrabili traversie: una volta era il fascino di Ulisse tenuto lontano da casa per vent’anni, oggi è il tiktoker lasciato un mese senza ciuffo e cellulare dall’adulto dispotico. Poi c’è quella parte di pubblico mediamente più adulta dei protagonisti – diciamo i loro genitori – che si appassiona al programma perché forse vi vede realizzato quel che non riesce a fare nelle mura domestiche: inculcare un’educazione fatta sul rispetto delle regole e dei ruoli; insomma, si segue “La Caserma” forse per il sottile gusto di vedere “vendicata” una generazione un po’ rammollita dagli agi e disattenta alle regole, costretta a prendere atto anzitempo che la vita è anche disciplina, sacrificio e – perché no? – anche qualche bruttura.
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