Giuseppe Bortoluzzi, notaio padre di notai, Andrea e Tomaso, “Bepi” per la cerchia degli amici, se n’è andato nella notte del 9 febbraio scorso. Già chiuso il numero di RMFonline, gli rendiamo un omaggio in extremis. Tempi tecnici più quieti consentiranno di ricordarne nei dettagli la figura e l’opera.
Ha ragione l’amico Mauro della Porta Raffo che l’ha frequentato durante la militanza nel Partito liberale: “…apprendo la dipartita a centodue anni con uno strano sentimento, non con dolore, con un senso di pace e dolcezza”. Vero questo, condiviso: “Bepi” era affetto da una grave malattia contagiosa, infettiva. Si ammalavano tutti del suo misurato ottimismo e buonumore, di stampo anglo veneziano, corretto con una spruzzatina di finissima ironia ed autoironia, come si addice a un vero elegante borghese illuminato, colto, curioso, propositivo, combattente, impegnato in politica ma ancor più nel campo culturale nella veste di grande animatore di eventi nel campo della fotografia, della scultura, della letteratura, della musica. Godeva dell’amicizia di uomini illustri che frequentavano la sua casa: da Eugenio Montale a Renato Guttuso, da Dante Isella a Piero Chiara, da Carlo Bertelli a Ugo Mulas, da Lanfranco Colombo al Conte Panza di Biumo, tra i notissimi. Uomo tutto d’un pezzo, è stato Bortoluzzi: combattente, alpino, fu fatto prigioniero e recluso in Germania dove, diversamente da moltissimi altri, si rifiutò di firmare per l’arruolamento nelle forze della neonata Repubblica sociale di Salò, sopportando altri mesi di detenzione.
Arrivato nel dopoguerra a Varese, città complessivamente molto povera in campo culturale, Bortoluzzi -senza qui dimenticare anche il fratello medico e poeta, professor Emilio, mancato nel 2018- è stato manna caduta dal cielo per rivitalizzare l’ambiente varesino soprattutto con iniziative, l’organizzazione di mostre di avanguardia nel campo della fotografia in particolare, e della scultura; per non dimenticarne altre sempre di grande livello come “Musica in Villa”, tra le tante. Sorriderebbe, sentendolo dire, ma a Varese è stato un uomo dalle mille iniziative, uno dei pochissimi artefici di un Rinascimento varesino nelle vesti di marziano piovuto qui per errore, agghindato con abiti anglo veneziani. Come non ricordarlo in questi ultimi tempi, lucido fino al termine?
Alla Schiranna, ad esempio, quando venne “premiato” come cittadino illustre e benemerito con un altro grande vecchio illuminato, Ambrogio Vaghi, “Bepi”, vicino ai cento anni, seduto in prima fila, sotto la tribuna delle “autorità”, raggiungibile per una scala d’una dozzina di gradini, si sentì chiedere se salirli gli avrebbe creato disagio, disposte le “autorità” a scenderli. Esclamò il notaio: “Ma figuratevi, io sono un alpino! Salgo, perbacco, evitatemi figuracce!” ridendo anche con quei suoi occhi “ furbi”, divertito lui per primo. Andrea gli ha organizzato la presentazione dell’ultimo suo libro di poesia in Biblioteca a Varese nel 2018. Più felice che mai nella sala stracolma, dopo aver sentito declamare i suoi lavori dalla brava attrice, alzatosi dalla sedia si diresse al leggio: “La ringrazio molto, brava, ma adesso smetta di leggere, altrimenti non mi comperano più il libro”. Come sempre, fare ironico e divertito, solo venato da un po’ di stanchezza. Grandi applausi e risa a seguire. Piace immaginare che a 102 anni questo lockdown l’abbia annoiato, chiuso in casa solo, con la compagna di una vita, Luciana, non meno impegnata di lui, e che non potendo andarci fisicamente abbia deciso di andarci con lo spirito. Dove? A trovare gli amici di un tempo, piuttosto che per pestare la neve sciando a Curma, Courmayeur, e che se ne sia andato furtivamente, in silenzio, in punta di piedi, non dicendo nulla a nessuno, ma rallegrandosi divertito. Grazie dottore, maestro di vita e di tanto altro.
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