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Presente storico

POI RIAVREMO LA PESTE

ENZO R. LAFORGIA - 12/02/2021

peste«Ascoltando […] i gridi d’allegria che salivano dalla città, Rieux ricordava che quell’allegria era sempre minacciata: lui sapeva quello che ignorava la folla, e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere, nelle cantine, nelle valigie, bei fazzoletti e nelle cartacce e che forse verrebbe giorno in cui, per sventura e insegnamento agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice.»

Così si conclude La peste di Camus, il grande romanzo filosofico pubblicato nel 1947 e diventato un best-seller al tempo del Covid.

A me, invece, sono ritornate in mente le ultime parole di questo classico della letteratura mentre assistevo al risuonare armonico dei cori di giubilo per l’epifania dell’ultimo (ma solo in ordine di tempo) Salvatore della Patria: Super Mario è arrivato e finalmente metterà le cose a posto. Anche il Dio Mercato ha salutato il suo arrivo, facendo inginocchiare al suo cospetto lo Spread (figura da sempre circonfusa di un alone magico e misterioso, in grado di far crollare o di rendere più solidi i governi).

Di colpo ci siamo dimenticati di un personaggio che probabilmente passerà alla storia (ma molto probabilmente solo alla cronaca) per la sua capacità di far cadere i governi anziché farli durare. Nel giro di poche ore, questo signore, subito dopo aver reso omaggio ad una teocrazia, dove i diritti civili sono relegati a letteratura fantascientifica, si è ripresentato alle telecamere nazionali, raccontando la nuova versione della sua personale agiografia: non ha fatto cadere un governo nel pieno della pandemia e nell’imminenza di una drammatica crisi sociale; ha fatto nascere il governo che salverà le sorti di questo malandato Paese. E con lui, all’unisono hanno ripetuto questa originale interpretazione dei recenti fatti, i deputati e i senatori di quel partito, che vuol chiamarsi Italia Viva, nessuno dei quali, vale la pena ricordarlo, è stato eletto sotto quella antifrastica sigla (e nessuno, ça va sans dire, ha pensato di dimettersi o di verificare alla prova delle elezioni il grado di consenso dei cittadini).

È questa la dannata peste che affligge il nostro sistema politico: manovre opache di Palazzo; ambizioni personali spinte al limite della catastrofe di un intero Paese; incapacità di intercettare i bisogni della comunità e tentare di fornire delle risposte; inettitudine o incapacità di un’intera classe politica, che delega ad un banchiere (rispettabilissima persona, ma con altro genere di vocazione e competenze) il ruolo che non riesce ad assolvere.

È ormai dal 2008 che assistiamo all’alternarsi, alla guida della nostra Repubblica, di governi che non sono espressione di un voto democratico (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte I, Conte II), ma sono lo specchio di una drammatica crisi democratica, risolta con formule agghiaccianti («governo tecnico», «larghe intese», «governo del Presidente» o, peggio, «governo di alto profilo», considerato il basso profilo dimostrato dalla classe politica»).

Io non ho giubilato, non ho sventolato il solito tricolore né ho cantato sul balcone inni patriottici. Ho pensato che avremo davanti a noi mesi tristissimi, in cui assisteremo ad una convergenza di forze politiche (sempre assistite dai loro burattinai, ben nascosti dietro le quinte) alimentata non dall’«interesse supremo del Paese», ma solo dalla necessità di sedersi tutte intorno a quel tavolo dove si deciderà come spendere il mega-prestito che arriverà dall’Unione europea.

E poi…?

Poi ritornerà la peste.

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