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Il Mohicano

CAMBIO DI ROTTA

ROCCO CORDI' - 12/02/2021

changeL’epilogo era già scritto nel suo inizio e chiunque abbia a cuore la politica e la democrazia non ha motivo di gioire. Con l’incarico a Draghi di formare un nuovo governo sono i partiti e le loro politiche ad uscirne sconfitti e gravemente lesionati nella loro credibilità. Gli italiani duramente provati dalla pandemia e dalle crescenti incertezze di futuro non si meritavano certo una crisi di queste proporzioni, apparsa ai più persino “incomprensibile”.

Tutti i protagonisti della crisi non hanno smesso di ripeterci che il loro agire era ispirato dall’interesse del Paese. Ma se a guidarli fosse stata davvero questa la preoccupazione principale la crisi non si sarebbe neppure aperta. In democrazia, infatti, i luoghi istituzionali servono a decidere, ma pure a risolvere – nel confronto permanente – le eventuali differenze di vedute o anche i possibili contrasti sulle scelte da fare. Viviamo però un tempo in cui i partiti e la politica non sembrano più in grado di esercitare l’alta funzione attribuitagli dalla Costituzione. Prova ne sia il fatto che nessuno si è preoccupato degli effetti prodotti dalla crisi e dalle sue inevitabili liturgie sullo stato d’animo degli italiani, da tempo oscillante tra angoscia e frustrazione.

Quasi tutti però si illudono di poter piegare a proprio vantaggio, elettorale, il corso degli eventi o quantomeno di uscirne con meno danni possibili.

Il problema, perciò, non è Draghi o la decisione del Presidente della Repubblica, ma la credibilità della politica e dei soggetti preposti a farla. Se questi si rivelano incapaci di gestire una crisi e di indicare soluzioni positive e credibili in rapporto alla situazione reale del Paese, allora c’è di che preoccuparsi.

Oggi nessuno, neppure quelli che fino all’altro ieri lo dipingevano come satana o dracula, mette in dubbio l’autorevolezza e il prestigio di un uomo come Draghi. Un grande “tecnico” le cui competenze e capacità sono ampiamente riconosciute ben oltre i confini nazionali. Ma i governi “tecnici”, intesi come neutrali o super partes, non esistono e noi italiani, per esperienze passate dovremmo saperlo molto bene. I governi, lo dice la parola stessa, hanno il compito di governare e dunque di fare scelte che non sono mai al di sopra delle parti, nè tantomeno neutrali. A meno che ripensando ai “governi tecnici” di Ciampi, Dini, Monti, qualcuno non voglia farci credere che le loro decisioni, diverse per contesto e “contenuti”, siano state imparziali. È dunque sulla qualità delle scelte e il loro impatto sociale che andrebbe verificata la bontà di un governo. Un principio sempre valido e che dovrebbe guidarci anche nell’attuale difficile frangente se non vogliamo andare incontro a nuove delusioni.

Ad oggi sappiamo tutto di Draghi e delle sue qualità. Chi però ha buona memoria e non si lascia incantare dai cori osannanti di queste ore, ricorda pure il “segno” delle politiche monetarie attuate nell’ultimo decennio dai vertici della Bce. Mario Draghi è stato fautore e attuatore di primo piano della linea delle privatizzazioni (meno Stato, più mercato), del rigorismo (i cui effetti sono efficacemente riassunti nel fiscal compact, nella famigerata lettera del 2011 che spianò la strada a Monti, nello strangolamento della Grecia). Una linea di lacrime e sangue per i più deboli di sempre poi gradualmente corretta di fronte all’aggravarsi della crisi economica e sociale. Bisogna dare atto a Draghi della significativa correzione di rotta operata negli ultimi anni. Prima cercando di coniugare il problema dei “conti in ordine” con l’esigenza di stimolare la “ripresa” economica e sociale, poi in termini sempre più marcati con il riconoscimento che c’è debito e debito e dunque che la linea rigorista era di fatto fallita. Certamente contano le biografie, ma ancor di più i programmi e i contesti.

Nel difficile passaggio in cui ci troviamo, reso ancora più lacerante e denso di incognite dall’azione irresponsabile del senatore di Rignano, è interesse di tutti giungere ad una soluzione positiva della crisi. Ma per conseguire un risultato capace di suscitare, non dico entusiasmo, ma almeno fiducia e condivisione è assolutamente necessario cambiare registro. La possibilità di trasformare anche un disastro in una opportunità di cambiamento, c’è ed è reale! Per coglierla davvero bisognerebbe rivolgere lo sguardo fuori dagli angusti spazi in cui si è cacciata una politica sempre più miope e autoreferenziale.

L’occasione ci viene offerta proprio dai segnali nuovi che provengono dall’Europa. Se per la Bce e l’Ue il debito non è più un tabù (questo dimostra la grande e innovativa svolta operata lo scorso anno con al messa a disposizione di una enorme quantità di miliardi di euro) lo scontro politico dovrebbe concentrarsi sulle scelte da fare per cancellare i gravi squilibri strutturali e sociali del Paese, ulteriormente aggravati da una pandemia di cui ancora oggi non si conosce l’esito. Questa è la vera sfida su cui dovrebbero misurarsi le forze in campo. Altro che bilancini ministeriali e calcoli di tornaconto di parte. La quantità di risorse disponibili impone un salto di qualità nella cultura e nelle pratiche politiche. Anziché lambiccarsi sulle formule di governo o giocare sui prossimi appuntamenti (nuovo Presidente della Repubblica e elezione politiche) i partiti, soprattutto quelli di sinistra, farebbero bene a mobilitare tutte le intelligenze disponibili per definire in tempi rapidi e compatibili con le scadenze indicate dalla UE, un programma di cambiamento radicale che faccia davvero i conti con i guasti sociali, territoriali e ambientali.

Non basta parlare di giustizia, eguaglianza, piena e buona occupazione, se poi alle parole non corrispondono mai i fatti. Perciò se il Paese reale si attende risposte immediate, per fronteggiare le difficoltà quotidiane create dall’emergenza pandemica, bisogna darle senza perdere altro tempo. Compito della politica è però coniugare emergenza e futuro. Da tempo siamo immersi in una situazione di perenne precarietà e incertezza che ha messo tutti a dura prova colpendo la speranza stessa di futuro. A questo bisogno primario non si può rispondere agitando illusioni, su questo terreno la destra è imbattibile, ma indicando scelte strategiche innovative capaci di rimuovere gli intollerabili squilibri sociali e territoriali e delineare un nuovo modello di sviluppo il cui centro motore ruota su umanità e pianeta. Il momento è ora.

Vedremo se Draghi sarà in grado di riuscire nell’impresa dove gli altri hanno fallito. Ma un bravo comandante non basta, serve una netta inversione di rotta.

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