La narrazione di eventi troppo vicini soffre sempre della distorsione ottica della prossimità. Le cose guardate da un palmo dal naso, nel bene e nel male, appaiono deformi come se le vedessimo attraverso una di quelle lenti d’ingrandimento convesse, che si regalano ai bambini da tenere sulla scrivania. Per cui, la realtà non appare mai per quel che è veramente. I bordi delle immagini sono sfumati, mentre la parte centrale delle figure tende ad essere una caricatura. Tutto è sempre un po’ deformato. È quel che mi accade di pensare quando leggo le critiche che si fanno oggi al governo Monti, nato una decina d’anni fa, e contraddistinto dal fatto di essere un governo tecnico (che razza di espressione infelice!). Un governo cioè, formato da personalità esterne alla politica e competenti per la materia per la quale erano state chiamate a governare il Paese. Se non ricordo male, c’era solo un sottosegretario come rappresentante del Parlamento, deputato a tenere i rapporti tra il governo degli alieni con quello degli eletti. Quel governo, soprattutto negli ultimi tempi, nell’immaginario collettivo è diventato la quintessenza del male, di quel che non si dovrebbe mai fare, come dar vita ad un governo di quella natura. E così, quell’esperienza di poco più di un anno (da novembre 2011 ad aprile 2013) è diventata la rappresentazione tangibile d’un errore madornale, di quel che non va fatto e che bisogna guardarsi bene dal ripetere.
E invece, lo si voglia o no, ci risiamo. Quello che sta per nascere è proprio una riedizione di quel che è già successo (indipendentemente da chi saranno i ministri che verranno scelti, se tecnici o politici), che certifica in maniera plastica l’incapacità di questo Parlamento di trovare i modi più opportuni per conciliare almeno per un attimo le incomprensioni e dare un corretto indirizzo al Paese, almeno per uscire dall’emergenza. La stessa incapacità (di cui prima o poi si dovrà discutere seriamente per capire come porre rimedio) che portò alla rielezione di Giorgio Napolitano, unico caso della nostra storia, nonostante la sua riluttanza a darsi quell’ulteriore calvario (durato poco, fortunatamente per lui). Fu chiarissimo il suo discorso alla Camere riunite per la rielezione e furono chiarissime le sue censure a chi aveva davanti e che, nonostante quelle parole durissime, applaudiva. Applaudiva alla propria incapacità, come in una commedia dell’assurdo. Avevano applaudito anche Mario Monti al suo esordio. Ricordo che addirittura si magnificava il nuovo look. I giornali parlavano a tutto spiano del suo loden verde. Di quel cappottino del tutto usuale per uno che viene da Milano e, suo malgrado, diventato il paradigma del rinnovamento.
Non è il caso di entrare nella contabilità delle cose buone e di quelle cattive fatte da quel governo (sarebbe una grandinata di inutili distinguo). Un governo che conosceva bene i suoi polli e per questo aveva puntato a fare un paio di cose per rimettere in piedi il Paese e farlo uscire dal tunnel in cui era finito e niente più, perché sapeva bene che la luna di miele sarebbe durata poco. Presto si sarebbero rifatti vivi gli appetiti dei partiti e a quel punto per il governo tecnico sarebbe stata la fine. In questo quadro, il resto della compagine governativa (oltre sviluppo, economia e finanze) contava poco. Era chiaro a tutti che non ci sarebbe stato il tempo per fare altro. E quindi, anche per questo, la restante parte dei componenti il governo non si può dire che sia stata scelta come si sceglie fior da fiore. Non in tutti i posti chiave furono sistemate le persone giuste, quelle che sarebbe stato necessario proporre. Si inserirono quelle persone che in qualche modo accontentavano la politica (e con “politica” intendo dire un universo di interessi grandi e piccoli difficilissimo da definire in due parole), sempre bramosa di poter dire di aver sistemato qualcuno dei suoi. Forse è questo l’errore da non rifare oggi. Anche se il nascituro governo non avrà vita più facile di quella del suo predecessore, è bene provare a dare senso compiuto a tutti i settori, per far capire come andrebbero fatte le cose.
Draghi, come Monti, è in procinto di dare un gran contributo al Paese ed è in procinto di fare dei gran sacrifici anche sul piano personale. Per questo, è bene che fin da adesso si ricordi le parole di Leon Battista Alberti, l’architetto del Rinascimento tra i più celebrati, che fu anche un sottile pensatore (ma molto poco ricordato per questo), riflettendo sulle tante disavventure patite per il suo impegno civile, ebbe a scrivere queste parole «Là dove mi si doveva gratitudine, abbondò l’invidia; là dove mi sarei potuto attendere un aiuto per vivere, trovai l’ingiuria; là dove i buoni avevano fatto tante promesse, i malvagi mi resero altrettante scelleratezze … Tali sistemi sono comuni tra gli uomini; non dimenticare che sei uomo». Son parole di quasi seicento anni fa. Ma hanno la capacità di mettere le cose nella prospettiva giusta. Senza distorsioni ottiche.
Roberto Cecchi è stato Sottosegretario del ministero per i Beni e le attività culturali del governo Monti (29 novembre 2011 – 28 aprile 2013)
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