San Francesco “parla” al mondo: è il titolo di qualche giorno fa di Avvenire per ricordare i cento anni del mensile francescano, pubblicato ad Assisi e diffuso in settanta paesi nel mondo. Interessante è la storia di questa rivista pensata già dall’ottobre del 1920 in vista dell’anniversario nel 1926 dei 700 anni della morte del santo. Da rivista devozionale a megafono delle idee francescane, anzi di formazione francescana. Sul mensile hanno scritto opinioni firme note del giornalismo italiano, come Cazzullo, Ezio Mauro e hanno avuto spazio riflessioni di chi ha accolto – ciascuno a modo suo – il carisma del Poverello. Un nome per tutti: Patti Smith, spesso etichettata in modo riduttivo sacerdotessa del rock. La cantante e poetessa ha, infatti, dedicato la canzone, Il sogno di Costantino, a San Francesco.
È proprio vero: san Francesco parla a tutti.
Il direttore della rivista, nonché portavoce del sacro convento di Assisi, padre Enzo Fortunato ha ben sintetizzato l’identità del santo: l’uomo dei poveri, uomo della pace e della salvaguardia del Creato. A dire il vero il religioso ha ricordato che sono i pilastri del pensiero di papa Francesco che testimonia la rivoluzionaria e attualissima proposta dell’amante della povertà del fi’ di Bernardone, secondo gli indimenticabili versi danteschi.
E lo fa, per ironia della sorte, un papa gesuita dopo che il quarto e ultimo papa francescano, Clemente XIV dell’ordine dei frati minori conventuali, negli anni del suo pontificato dal 1769 al 1774, pur con vari tentennamenti, abolì la compagnia di Gesù.
Ma la storia – fortunatamente – non è sempre prevedibile. Come non è prevedibile l’effetto delle parole di San Francesco. Se ricordare i cento anni della rivista francescana è quasi riassumibile in uno slogan, dalla predicazione alla comunicazione, proprio per questo, sarebbe importante ricostruire la storia dell’influenza francescana non solo nella società ma anche nella cultura. Senza amareggiarci troppo se società e cultura sono spesso in conflitto. Culturalmente vitalizzante è, invece, la voglia di capire a chi ha parlato san Francesco, o meglio chi l’ha ascoltato e di come hanno parlato di lui. Come per la costruzione di un puzzle, anche se possediamo tutte le tessere, quello che conta è la meta da raggiungere.
Quali sono le nostre tessere? Come è stata ricostruita la vita di San Francesco, non solo quella storica ma anche quella dei suoi pensieri? Come l’hanno raccontato sia chi l’ha conosciuto, ad esempio, Tommaso da Celano, suo primo biografo, o un certo Giovanni Fidanza, noto come San Bonaventura, proprio per l’augurio di Francesco di Bona Ventura, quasi un “buona vita”? O scrittori del Novecento, quali Hermann Hesse in un libretto intitolato semplicemente Francesco d’Assisi o un quasi dimenticato Riccardo Bacchelli in un bellissimo romanzo storico del 1959, Non ti chiamerò più padre, in cui la vicenda umana è rivissuta e letta con gli occhi del padre?
Dunque un Francesco ispiratore -potremmo definirlo globale- di molti romanzi: da Il mendicante gioioso dell’ungherese Louis de Wohl a il Poverello di Dio, romanzo molto spirituale, dello scrittore greco Nikos Kazantzakis (stranamente unico romanzo citato su Wikipedia nella voce Francesco nella letteratura).
Questa presenza francescana nella narrativa sembra quasi un’esemplificazione delle parole del ventiduenne Hesse che, convinto, affermava che tutti potremmo essere imitatori di Francesco. Certo, se almeno applicassimo quanto gli riconobbe un altro scrittore, noto per i romanzi di Padre Brown. Gilbert Keit Chesterston, in un saggio del 1923 scrisse: San Francesco era soprattutto una persona che sapeva dare e la cosa che più gli stava a cuore era il miglior modo di dare, cioè ringraziare.
Come è stato detto, “la ricchezza della povertà” è una vera ricchezza di idee. E ricordare nel nostro ipotetico puzzle i pensieri del francescanesimo nella filosofia medioevale (solo medioevale?) sarebbe una bella sfida.
Lo è perché la filosofia non può essere limitata ai programmi scolastici di poche scuole e agli addetti ai lavori, anche se appassionati, ma deve alimentare il pensiero. Non sarebbe, dunque, inopportuno parlare di alcuni filosofi francescani, attuali nella loro inattualità, come i veri grandi: Duns Scoto, ad esempio.
E perché non rileggere i versi danteschi dell’XI canto del Paradiso con occhi nuovi in cui San Francesco è rappresentato per il suo eroismo? Per inciso non è male ricordare che proprio un francescano tradusse in latino la Divina Commedia … ma questa è un’altra storia o meglio un’altra tessera del nostro puzzle.
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