Il luccichio dei mosaici esterni al sole del tramonto annuncia San Paolo fuori le mura. Una messa, organizzata dal movimento di Comunione e Liberazione è l’occasione per tornare a visitare questa chiesa fuori dalla vita convulsa del centro città.
Delle quattro grandi basiliche di Roma, San Paolo fuori le mura è forse quella che sento meno ‘casa’. Santa Maria Maggiore mi ha accolto nelle prime settimane di arrivo a Roma, San Pietro è dove mi sono sposato, San Giovanni è stato spesso la cornice di servizi giornalistici: ecclesiali come le visite dei Papi al clero romano o la processione del Corpus Domini, laici come i concertoni del primo maggio o le tante adunate politiche.
San Paolo invece, defilata com’è in terre una volta infestata dalla malaria, scorre ai margini della città.
Ed è un peccato perché la Basilica è di rara imponenza. Ricostruita in stile neoclassico dopo un incendio che la distrusse nel 1823, accoglie i pellegrini con un grande atrio al cui centro campeggia una gigantesca statua di San Paolo incappucciato: austero e un po’ minaccioso. All’interno sulla destra un plastico ripropone il modello della basilica in legno andata distrutta per colpa, dicono le cronache dell’epoca, del braciere di un operaio.
Anche allora come oggi Roma viveva tempi minacciosi e inquieti. Il Papa Pio VII, che aveva iniziato la sua vocazione proprio come monaco a San Paolo, stava morendo. Sfiancato dall’arresto e dalla deportazione in Francia voluta da Napoleone, la notte del 16 Luglio 1823 fu tormentato da sogni angosciosi che prefiguravano futuri disastri per la città. Quando giunse la notizia del devastante incendio, nessuno ebbe il coraggio di comunicarla al Pontefice che morì poco dopo ignaro di tutto.
Il mondo intero contribuì alla ricostruzione della Basilica. Mohamed Ali’ invio dall’Egitto colonne di alabastro, lo zar Nicola I le malachiti e i lapislazzuli che adornano i grandi altari del transetto. Durante i lavori di ricostruzione gli architetti fecero scavare in profondità sotto il tabernacolo che indicava la sepoltura di San Paolo. Venne così alla luce una grata sulla tomba del tipo di quelle costruite per i martiri paleocristiani. Se gli architetti del 1823 fossero stati in possesso dei mezzi tecnici di cui disponevano gli archeologi che hanno lavorato in San Pietro, probabilmente avrebbero riportato alla luce una necropoli simile a quella che circonda la tomba di San Pietro.
L’interno della Basilica è straordinario, con le enormi colonne di marmo e i preziosi mosaici dorati. Purtroppo sono poche le parti medievali della basilica che si conservano intatte, anche se si possono ancora contemplare alcuni mosaici del XIII secolo, un gran candelabro del XII secolo e il baldacchino in marmo di Arnolfo di Cambio, sotto il quale è sepolto San Paolo. Chissà – mi domando – come si sarebbe comportato l’apostolo delle genti in questi tempi di covid?
Alla basilica di San Paolo ci si va anche sull’onda della superstizione. Come è noto nell’edificio sono esposti tutti i ritratti dei Papi che si sono susseguiti da San Pietro, immortalato in un tondo alla sinistra dell’altare principale. Da lì inizia una sfilata di medaglioni che proseguono in alto come una cornice su tutta la chiesa; un viaggio temporale che arriva ai Pontefici più recenti, da Paolo VI a San Giovanni Paolo II. Gli ultimi due raffigurati sono il Benedetto XVI e Papa Francesco, l’unico ad essere illuminato da un riflettore, come segno del suo attuale ruolo da capo della Cristianità. I ritratti, mosaici su sfondo durato, furono iniziati nel 1847. Ma il popolino romano teme che terminati gli spazi vuoti per i medaglioni nella basilica finisca anche la Chiesa. Tutta colpa delle profezie di Malachia, vescovo benedettino di Armagh, in Irlanda, che ebbe una visione del numero dei futuri Pontefici: 111, più quello che governava al momento. Da lì sono partiti calcoli di ogni tipo. Ad ogni buon conto i monaci della Basilica, dopo Papa Francesco che occupa l’ultimo posto della navata laterale di destra, hanno già approntato sei ovali vuoti all’angolo dell’altra navata.
Un filo rosso infine lega San Paolo fuori le mura al Nord Italia. Le 146 colonne di marmo bianco della Basilica arrivano dalle cave di Montorfano e di Baveno sul lago Maggiore.
Le colonne erano imbarcate su delle chiatte sul fiume Toce. Queste attraversavano il Lago Maggiore, si immettevano nel Ticino e scendevano fino a imboccare il Naviglio Grande, verso Milano. Qui attraverso il naviglio della Martesana arrivavano ai Cantieri Pirovano per procedere alla fusatura.
Dopo questa operazione, le colonne venivano caricate nuovamente sulle chiatte per scendere lungo il Naviglio Pavese, rientrare nel Ticino e da qui fino al fiume Po. Una volta arrivate al mare costeggiavano Venezia, dove erano prese in consegna dalle navi pontificie. Le imbarcazioni circumnavigavano l’Italia, passando dallo stretto di Messina, e imboccavano la foce del fiume Tevere per risalirlo fino alla Basilica, dove fu necessario aprire un canale apposito per lo scarico. 2220 chilometri, interamente via acqua. Quattro mesi di viaggio. L’ingegno italico non finisce mai di stupire.
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