L’Isolino Virginia è un piccolo gioiello locale da proteggere.
Quando il treno Milano – Varese si avvicina alla città, dall’altura della ferrovia lo sguardo riesce ad abbracciare l’intero lago di Varese: è uno spettacolo non lascia indifferente il turista ma neppure coloro che vivendo qui ne hanno potuto godere tante volte.
Però è solo un occhio esercitato che sa intuire nella macchia verde sul fondo del paesaggio la presenza della piccola isola lacustre la cui storia si perde nei millenni.
I primi abitanti della zona si insediarono su quelle sponde circa 7000 anni fa, raccolti in villaggi palafitticoli sorti sia intorno sia dentro le acque del lago. Grazie ai detriti prodotti dalla prolungata permanenza umana si formò la piccola isola artificiale oggi chiamata Isolino Virginia.
Le vicende umane dei nostri lontani progenitori sono testimoniate dai numerosi studi iniziati a metà dell’Ottocento, proseguiti con crescente impegno con gli scavi dei decenni successivi i cui reperti si trovano al Museo Archeologico di Varese.
Purtroppo da qualche decennio si erano allentate le attenzioni nei confronti di questo patrimonio locale: per scarsi investimenti, per limitata comunicazione all’esterno, per i discontinui interventi di valorizzazione della zona, processi che senza un intervento decisivo avrebbero potuto portare, nel giro di pochi decenni, alla marginalizzazione di questo sito dalle ricchezze archeologiche ritenute di grande rilievo.
Un vero peccato se si considera che l’Isolino ha fornito alla scienza importanti informazioni sulla vita delle comunità preistoriche e che il valore dei suoi reperti è tale che dieci anni fa, nel 2011, la civiltà palafitticola del lago di Varese è stata iscritta nel patrimonio mondiale UNESCO alla voce “Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino”.
Siamo in ottima compagnia, al di qua e al di là dell’arco alpino dove si contano numerosi insediamenti palafitticoli, in particolare nella vicina Svizzera: i villaggi erano tutti posizionati in prossimità dell’acqua, intorno a laghi prealpini e alpini come il Ceresio e il Lemano.
La scadenza di questo primo decennio di inclusione nei siti Unesco costituisce l’occasione per avviare iniziative che restituiscano credibilità e visibilità al nostro patrimonio archeologico.
Con il rilancio dell’archeologia locale si potrà tornare ai tempi d’oro quando l’Isolino era frequentato da numerosi studiosi, da turisti soprattutto stranieri e da scolaresche provenienti da diverse parti della regione e dall’estero.
I responsabili del Museo archeologico varesino stanno lavorando ad alcuni progetti volti a restituirci la “vision” che è mancata e allontanare il rischio di un serio impoverimento culturale.
Perché conoscere la propria storia e mantenere vive le testimonianze del passato è il dovere di ogni collettività cultrice del proprio passato.
Il primo passo è l’allestimento nella sede del Museo archeologico di Varese di una mostra interattiva multimediale che consentirà di integrare la fruizione dei manufatti presenti con video, fotografie e materiali informativi, prodotto degli studi più recenti che hanno ripreso quota in questi ultimi anni anche grazie all’operato della Soprintendenza e delle Belle Arti.
Altrettanto importante è la possibilità di ricorrere alla formula dell’Art Bonus, uno strumento di donazione molto favorevole per il donatore mecenate che potrà recuperare il 65% in credito di imposta.
Il successo nazionale di questo bonus si è rivelato superiore alle aspettative: segno che in Italia è fortemente sentito il peso del valore storico e sociale dei beni pubblici, un risultato che va ben oltre la possibilità di individuare un obiettivo valido per la destinazione delle proprie tasse.
Ci auguriamo che questa parte di preistoria possa ricevere da più parti la dovuta attenzione per decollare pienamente nel prossimo futuro a vantaggio della nostra comunità.
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