Ci sono persone che, stranamente, sopravvivono, soprattutto, nel ricordo di chi le ha conosciute. Ci sono persone che meriterebbero di essere ricordate con generosità non solo da parte di chi le ha conosciute, ma anche da chi dovrebbe avere una particolare sensibilità rispetto al ruolo che queste hanno avuto nella loro vita, civile, politica, sociale e intellettuale. Ci sono persone che meriterebbero qualche momento in più del nostro tempo per essere ricordate per quello che hanno rappresentato nella loro storia per gli altri e non lo sono perché la memoria è spesso solo dei “custodi” e non di mass media ormai senza più memoria, afflato e radicamento sociale.
Una di queste persone è sicuramente Camillo Massimo Fiori, per tutti noi che lo abbiamo conosciuto Massimo, scomparso il 4 febbraio del 2016. E mi piace ricordarne la figura proprio su RMFonline, dove Massimo ha scritto a lungo, apprezzato da una comunità virtuale di amici che lo stimavano e che lo apprezzavano.
Io ho conosciuto Massimo solo negli anni 80 quando la sua parabola politica aveva già superato lo zenit, ma con lui, fin da allora e sino alla sua scomparsa, ho sempre intessuto un dialogo ed un confronto che andava al di là della differenza di età.
Massimo è stato un intellettuale nella Democrazia Cristiana di Varese e del mondo cattolico varesino. Questo suo essere intellettuale lo ha sicuramente danneggiato rispetto al suo essere politico, ma forse e qui chiedo il conforto di quanti lo hanno frequentato come me e più di me, forse questo lo ha preservato e aiutato nel suo vivere quotidiano e nella sua militanza.
Quando ancora il mondo cattolico aveva un suo radicamento e una sua fortissima valenza sociale a Varese (come nel resto del Paese a dire il vero) Massimo era impegnato nelle ACLI sia con ruoli provinciali, sia nazionali e, contemporaneamente, nella Democrazia Cristiana varesina militava da leader locale di quella che allora era conosciuta come la “sinistra sociale”, la corrente di Forze Nuove di Pastore, prima e di Donat-Cattin poi.
Spesso si dice che la politica è lo strumento di affrancamento dei ceti popolari. Ebbene credo che Massimo con la sua attività e con la sua capacità di elaborare pensieri abbia incarnato tutta la vita questo paradigma. Ricordo quando mi raccontava che aveva iniziato a lavorare in una scuola superiore di Gallarate come applicato di segreteria e poi, solo dopo qualche tempo, era finito a lavorare in quella che allora era una signora banca in via Marcobi e questo passaggio gli aveva consentito, lui che usava solo mezzi pubblici, di ritornare a fare politica nella sua città.
Ricordo di quando mi raccontava dei duri congressi aclisti quando lui, DC fino al midollo e forse ancora di più come cattolico, contestava la scelta socialista di Labor e si manteneva fedele all’impegno di militante politico in Forze Nuove che vedeva come strumento basilare affinché la Balena Bianca, in epoca di contestazione, non perdesse il suo radicamento popolare. E ricordo anche quando mi narrava di come, lui che avrebbe potuto fare il parlamentare, mancò per un soffio l’elezione soprattutto per i voti che alcuni “amici” di corrente gli fecero mancare.
Io ho conosciuto Massimo, da giovane militante DC, quando era direttore della “Voce delle Prealpi” il periodico della Democrazia Cristiana di Varese che lui, dopo la parentesi di leader di corrente ormai defenestrato, aveva “ricevuto” come risarcimento dai vertici del partito.
E ricordo che la sua “direzione” non era banale e le riunioni di redazione non erano mai solo il decidere quale pezzo scrivere e chi lo doveva scrivere, ma erano un confronto aperto e ampio di cultura politica e di commento dei fatti politici locali e nazionali.
Massimo non aveva potuto frequentare l’università, ma, attraverso la politica si era dato una vasta se non immensa cultura.
Di qui l’affrancamento e il protagonismo sociale di cui scrivevo prima. Ma Massimo era anche un uomo di fede, di una profonda e coerente fede cresciuta nelle certezze, ma anche nei dubbi post-conciliari dell’oratorio di San Vittore.
Massimo è stato anche consigliere provinciale quando la Provincia era luogo di “progettazione” ampia su tutto il territorio, ma il vero ruolo di Massimo, almeno, questa è la convinzione che io mi sono fatto negli anni, il ruolo a lui più congeniale era quello del pensatore e del divulgatore.
Lui era un lettore onnivoro, ma la cosa straordinaria era e lo ricordo bene, la sua capacità di raccontare l’ultimo testo letto e di renderlo attuale al momento politico.
Con lui, sia nella direzione DC, sia nella redazione de “La Voce”, coadiuvato dal mitico Sergio Morosinotto, o in qualsiasi assemblea di iscritti, il livello si alzava perché per Massimo, l’alzare “l’asticella” della consapevolezza era la vocazione del politico serio, atto necessario per fare quella pedagogia politica utile per fuggire dalla banalità del dilettantismo o dagli squallidi routinier di potere sempre in agguato.
Probabilmente, anzi certamente, Massimo Fiori non ha avuto dalla politica quegli incarichi a cui, legittimamente, ha aspirato. Gli mancava il “physique du role”, ma il suo ruolo, la sua influenza e il suo pensiero, come tutta la sua militanza sociale e politica, da cattolico e di cattolico andrebbero, oggi, in tempi così lontani, riscoperte, indagate e conosciute.
Chissà, forse un giorno, noi dell’“Associazione dei Popolari Varesini”, ultimi custodi della memoria locale di un certo cattolicesimo democratico, chissà, forse un giorno, riusciremo a promuovere una ricerca, una borsa di studio, su un testimone di un tempo che fu come lui.
Roberto Molinari, Associazione Popolari Varesini
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