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Apologie Paradossali

MINA VAGANTE

COSTANTE PORTATADINO - 05/02/2021

direttorio(S) Adesso il Santo Padre, per farci capire che il Padre Eterno dai cristiani vuole fatti e non parole, cita Mina, meglio una canzone interpretata da Mina, in dialogo, invero senza reciproca comprensione, con la voce recitante di Alberto Lupo. Una caduta di stile o un furbo espediente per farsi ricordare?

(O) Forse anche qualcosa di meglio di un espediente, una precisa scelta di linguaggio popolare. Nel discorso all’Ufficio Catechistico Nazionale della CEI del giorno prima, dice esplicitamente: “E su questo punto – il catechista – riprendo una cosa che va detta anche ai genitori, ai nonni: la fede va trasmessa “in dialetto”. Un catechista che non sa spiegare nel “dialetto” dei giovani, dei bambini, di coloro che… Ma con il dialetto non mi riferisco a quello linguistico, di cui l’Italia è tanto ricca, no, al dialetto della vicinanza, al dialetto che possa capire, al dialetto dell’intimità (…) Non dobbiamo aver paura di parlare il linguaggio delle donne e degli uomini di oggi. Di parlare il linguaggio fuori dalla Chiesa, sì, di questo dobbiamo avere paura. Non dobbiamo avere paura di parlare il linguaggio della gente”.

(S) Populismo?

(C) Direi piuttosto una forma di disintermediazione. Un’impazienza di arrivare alla ‘gente’ direttamente, accettandone i limiti culturali, morali e pure religiosi.

(S) Un perfetto parallelo con la non certo esaltante disintermediazione della politica, quella cominciata con il ‘vaffa’ e che sta finendo per adeguarsi alle ‘intermediazioni‘ più bizantine di quelle dalla cosiddetta ‘prima repubblica’. Non corre il rischio di fare la stessa fine?

(O) Cerchiamo di non fermarci su aspetti e somiglianze del tutto superficiali. La politica vive oggi una schizofrenia grave, anzi tragica. Non vedo facili rimedi. Non ci sono facili rimedi, non si torna indietro nella volgarizzazione del linguaggio. Nell’Apologia di settimana scorsa avevamo segnalato, grazie alla lezione del professor Contri, che nel mondo in cui il messaggio va da ‘tutti a tutti’ si deve prendere atto che ‘la gente è il messaggio’. I sondaggisti politici dicono che fino a pochi anni fa i partiti chiedevano loro quale impatto avrebbe fatto la loro proposta sulla gente, oggi chiedono semplicemente che cosa la gente vuole che si dica loro e si adeguano. La gente, invece, non si adegua a nessun messaggio, per quanto vero, giusto e ragionevole. Vedi il caso della scorsa domenica, quando tutti si sono riversati nelle vie e nelle piazze, anche anticipando il passaggio in zona gialla. Assolutamente inutile predicare responsabilità (quella vera!), non ha funzionato, tanto che solo una paura ancor più vera ha tenuto un vecchietto come me lontano da luoghi affollati e da contatti sociali non strasicuri.

(C) Per rispondere alla domanda di Conformi se ci sia il rischio di un ‘Santo Populismo’ abbracciato da Papa Francesco e se ci siano rischi conseguenti per il messaggio di salvezza che la Chiesa, per sua natura, deve trasmettere, mi soffermo ancora un po’ sulla situazione politica, cercando però di non ‘rompere il silenzio’ cui avevo promesso di attenermi. Credo di non romperlo, infatti, perché non mi propongo d’interpretare la crisi e di definire chi ha torto e chi ha ragione. Voglio solo constatare che la stragrande maggioranza degli italiani non l’ha capita e tanto meno la capirà se, alla fine, si ricostituirà la medesima maggioranza di prima, appena rinfocolata dallo sparuto gruppo di neo europeisti responsabili e costruttori. Mi pare che non l’abbiano capita nemmeno i potenziali interpreti, quali intellettuali, giornalisti e commentatori, con l’eccezione di qualche isolato costituzionalista, vox clamantis in deserto, che da mesi denuncia l’umiliazione del Parlamento, diventato un ‘Approvamento’, ridotto dall’abuso di Decreti del Presidente del Consiglio (DPCM) e dalle fiducie su maxiemendamenti ad un luogo di parole, parole, parole, senza vero dialogo, proprio come nella canzone di Mina, evocata dal Papa nell’Angelus di domenica scorsa.

(S) Ma a proposito di Mina, non vedi quante mine vaganti restano sulla rotta del governo, della sua formazione e del suo futuro, qualsiasi composizione gli verrà data? Forse quando ci leggeranno sabato (noi scriviamo martedì e in questo momento, dopo il fallimento dell’esplorazione di Fico e la dichiarazione di Mattarella stiamo cancellando mezzo articolo già preparato) tutto si sarà risolto, apparentemente, in un modo o in un altro. Ma io credo, invece, che fingere che i problemi non ci siano e rinviarne il tentativo di soluzione sia solo peggiorare la crisi futura e definitiva. Cambia solo il tipo di mina posto sotto i piedi del futuro governo. Però sono curioso di sapere se Renzi sarà il Pietro Micca della situazione, che salta per aria sulla sua stessa mina o se la probabile creazione di un governo del tutto nuovo… come chiamarlo? Di ‘salvezza nazionale’? Di ‘emergenza’? Dei ‘meritevoli’? O semplicemente ‘di chi ci sta a metterci la faccia’ gli verrà riconosciuto a merito ora e nelle prossime elezioni, che, se allontanate dalla motivata inquietudine al riguardo del Presidente della Repubblica, non saranno comunque lontane.

(C) Gli ultimi sviluppi della crisi, (ripeto, sono fermo a martedì sera) inducono a confermare, anzi a a blindare il mio silenzio. Confesso solo un grandissimo disagio nel dover constatare che la vera crisi italiana non è la pandemia o il disaccordo su Recovery fund, o su MES o su Quota 100 o su Reddito di Cittadinanza o su Migranti in mare (a proposito: scomparsi?), ma è una crisi della politica nella sua totalità, che non esclude nessun partito o schieramento. Oso dire che è una crisi di verità, della capacità di comunicare proposte in cui si crede veramente che siano per il bene di tutti e non solo di quella parte di elettori a ciascuno più vicina.

Quindi, per favore, torniamo all’argomento ecclesiale, per il quale si pone un problema in un certo senso simile. C’è un presentimento di questo problema nelle stesse parole del Pontefice, che ripeto: “Non dobbiamo aver paura di parlare il linguaggio delle donne e degli uomini di oggi. Di parlare il linguaggio fuori dalla Chiesa, sì, di questo dobbiamo avere paura”. Capisco, credo, l’intenzione del Papa: usare le parole che oggi sono significative per esprimere i concetti perenni della dottrina e della vita cristiana; usare i mezzi di comunicazione contemporanei senza essere traviati dalla natura del mezzo di comunicazione stesso, ma…

(O) Il dubbio te lo solleva quanto abbiamo ascoltato dal professor Contri e di cui hai riferito nella Apologia di settimana scorsa: sarebbe tornare addirittura a prima di MacLuhan, ad avere un messaggio che sappia sfuggire al condizionamento del mezzo, ma oggi siamo così immersi nell’atmosfera costituita dai vari ‘mezzi’ che alla fine è il destinatario del messaggio (la gente è il messaggio, diceva Contri) che condiziona la natura e il successo del messaggio stesso, essendo a sua volta condizionato dal mezzo che usa per adempiere all’unico vero comandamento contemporaneo: restare connesso, fingendo che questa sua connessione lo renda informato, perciò libero e indipendente, pur essendo proprio essa il suo più subdolo condizionamento.

(S) Credo proprio di non averti capito!

(C) Cerco di aiutarvi con le parole del Papa stesso. La soluzione di questa apparente contraddizione sta nell’inserire il necessario adeguamento del linguaggio e quindi dell’uso dei nuovi mezzi di comunicazione tra i due punti fondanti, richiamati dal Papa nel discorso all’Ufficio Catechistico Nazionale: il Kerigma (l’annuncio della salvezza) e la comunità cristiana, anzi, “il santo popolo di Dio”. Invito tutti a rileggere l’intero discorso sul sito del Vaticano, qui basta richiamare due passaggi essenziali: “Il cuore del mistero è il kerygma, e il kerygma è una persona: Gesù Cristo. La catechesi è uno spazio privilegiato per favorire l’incontro personale con Lui. Perciò va intessuta di relazioni personali. “Ma il luogo delle relazioni è una realtà vitale e strutturata: “La catechesi e l’annuncio non possono che porre al centro questa dimensione comunitaria. Non è il momento per strategie elitarie. La grande comunità: qual è la grande comunità? Il santo popolo fedele di Dio. Non si può andare avanti fuori del santo popolo fedele di Dio, il quale – come dice il Concilio – è infallibile in credendo”.

Infine, il saluto finale, come sintesi: Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per quanto fate. Vi invito a continuare a pregare e a pensare con creatività a una catechesi centrata sul kerygma, che guardi al futuro delle nostre comunità, perché siano sempre più radicate nel Vangelo, comunità fraterne e inclusive”.

(O) Ecco, grazie, questo volevo dire, la difficoltà, che sembrava affiorare anche come paura di “parlare il linguaggio fuori dalla Chiesa” si supera non distaccandosi dal Vangelo vissuto nella concreta comunità cristiana. Per questa convinzione Papa Francesco coglie l’occasione di rilanciare la richiesta ai vescovi italiani di iniziare un cammino sinodale (parola che in sostanza vuol dire ‘camminare insieme’, cioè fare comunità attiva) che coinvolga tutti anche i semplici parrocchiani. Ricordandomi inoltre che pochi mesi fa il Papa ha anche approvato il “Direttorio per la Catechesi” redatto dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, credo proprio che sia evitato, anche se si citano le parole di una canzone di Mina (“parole, parole, parole”) il rischio di un ‘populismo nella comunicazione’ e che l’invito alla Conferenza Episcopale Italiana di iniziare un cammino sinodale non sia una ‘mina’, innescata da un superiore scontento, ma una paterna preoccupazione.

(S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti (C) Costante

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