Finalmente un Dio che non è un ‘padrone’, nemmeno il migliore dei padroni. È un’altra cosa: è il Dio della bontà senza perché, che scombina i normali pensieri, trasgredisce le regole del mercato e sa ancora saziarci di sorprese.
Intanto è il signore di una vigna: fra tutti i campi la vigna è quello dove il contadino investe più passione e più attese, con sudore e poesia, con pazienza e intelligenza. È il lavoro che più gli sta a cuore: per cinque volte infatti, nella stessa giornata esce a cercare lavoratori. È questa terra la passione di Dio, che chiama ciascuno di noi nella sua custodia; è questa nostra vita che gli sta a cuore, vigna da cui attende il frutto più gioioso.
Eppure ci viene spontaneo solidarizzare con gli operai della prima ora che contestano: non è giusto dare la medesima paga a chi fatica molto come a chi lavora soltanto un’ora. È vero: non è giusto. Ma la bontà va oltre la giustizia. Questa non basta per essere uomini. Tanto meno basta per essere Dio. Neanche l’amore è giusto: è un’altra cosa, è di più.
Se, come Lui, metto al centro non il denaro, ma l’uomo; non la produttività, ma la persona; se metto al centro quell’uomo concreto, quello delle cinque del pomeriggio, un bracciante senza terra e senza lavoro, coi figli che hanno fame e la mensa vuota, allora non posso contestare chi intende assicurare la vita di altri oltre alla mia. Dio è diverso, ma è diversa pienezza. Non è un Dio che conta o sottrae, ma che aggiunge continuamente un di più. Intensifica la tua giornata e moltiplica il frutto del tuo lavoro.
Non fermarti a cercare il perché dell’uguaglianza della paga, è un dettaglio. Osserva piuttosto l’incremento di vita inatteso che si espande sui lavoratori. Nel cuore di Dio cerco un perché. E capisco che le sue bilance non sono quantitative. Davanti a Lui non è il mio diritto o la mia giustizia che pesano, ma il mio bisogno. Allora non calcolo più i miei meriti, ma conto sulla sua bontà.
Dio non si merita, si accoglie. Ti dispiace che io sia buono? No, Signore, non mi dispiace, perché sono l’ultimo bracciante e tutto è dono. Non mi dispiace perché so che verrai a cercarmi anche se si sarà fatto tardi. Non mi dispiace che tu sia buono. Anzi, sono felice che tu sia così: un Dio buono che mi invita ad abbandonare il mio sguardo opaco per divenire capace di gustare il bene. Questa parabola riafferma il concetto fondamentale della pari dignità degli uomini, frutto prezioso del Vangelo. Di tale frutto c’è assoluto bisogno, in un mondo che viaggia a vele spiegate verso una diseguaglianza sempre più marcata, con un cinismo inimmaginabile fino a qualche anno fa.
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