Abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini dell’oltraggio alla “sacralità” della sede della democrazia americana: manifestanti agguerriti che travalicavano transenne, che invadevano scale, corridoi, stanze del Capitol Hill davanti ad una polizia incapace di porvi resistenza, barbari che prendevano in ostaggio i rappresentanti del popolo, che si installavano alla presidenza, lanzichenecchi che mettevano a soqquadro gli uffici, che imbrattavano i busti dei padri fondatori: è questo il risultato della demagogia di un uomo che durante la sua presidenza ha alimentato risentimenti e che, irrispettoso dei risultati di un voto, ha aizzato i suoi gregari a invadere il Parlamento nel giorno in cui veniva sancita la vittoria dell’avversario. È stata un’insurrezione, una scorreria vera e propria, giunta dall’esterno al fine di deteriorare una democrazia che sembrava forte, ma che una politica dissennata aveva reso fragile.
A rendere debole una democrazia possono essere anche gli attacchi che provengono dall’interno del suo Parlamento. L’ho notato assistendo all’intero dibattito che si è svolto al Senato della nostra Repubblica in seguito al voto di fiducia al governo Conte. Ho notato in diversi interventi, provenienti particolarmente dall’opposizione, una libertà di parola sganciata dalla responsabilità: inesattezze di percentuali, menzogne già svelate come tali, ma ripetute come un mantra, richieste per inserire nella Next Generation EU spese che non possono essere usate se non all’interno del piano previsto dalla Commissione Europea. Nei discorsi ho notato poche proposte, ma molta rabbia sia verso la “casta” accusata di voler restare incollata alle poltrone, sia verso i più indigenti e i migranti, accusati di voler essere solo assistiti.
Il tutto esposto con gesti sarcastici, in modo sguaiato, urlato, in mezzo agli applausi dei sostenitori del “capo”, incuranti di nascondere “la disciplina e l’onore” a loro richiesti dalla Costituzione e assumendo la volgarità dei tifosi, fieri di apparire alla televisione seduti o in piedi accanto al “capo” che giunge al punto di offendere i senatori a vita, a rimbrottare la Presidente dell’aula che sembra più una maestrina che redarguisce i suoi scolari piuttosto che un’autorevole carica dello Stato che sa dirigere in armonia e pacatezza i lavori parlamentari. Sembra che il nuovo secolo, dopo l’evaporazione del padre, stia donandoci la perdita dell’autorevolezza, assistendo all’eclissi del “leader -maestro”!
Tra i diversi tipi di governo non mi pare che ci sia uno migliore della democrazia. Essa si fonda sulla libertà e sull’uguaglianza. In questi ultimi giorni, lo spettacolo indecoroso svoltosi al Capitol Hill e al Senato della nostra Repubblica, dimostra che la libertà può tramutarsi in una “democrazia dittatoriale” se uno o più uomini con il culto della personalità, una stima di sé all’eccesso, con tratti sconfinanti in un vero e proprio delirio di grandezza, facendosi attorniare da fedelissimi non per l’adesione a ideali, a programmi politici, ma per la devozione al “capo”, capace di costruire attorno a sé una corte che riceve in cambio vantaggi, sono determinanti nel far cadere il governo. Scompare così il senso della libertà e si instaura un’oligarchia che tenta di concentrare su di sé i poteri dello Stato, dei media, dell’economia.
In seguito a ciò, si allarga sempre la sfiducia dei cittadini verso lo Stato, incapace di operare presto e bene; verso i partiti più abili a dividersi che a unire e angustiati solo a gestire le elezioni; verso la politica che accumula la rabbia e la violenza trattenuta. L’assenza di pensiero e di comunicazione ha provocato la crisi delle mediazioni, che sono state sostituite dalle compromissioni. Il dialogo con i cittadini è stato interrotto dalla scomparsa dei corpi intermedi e dalla società divisa in opposte fazioni tanto che – personalmente – comincio a credere che la causa prima della fragilità della democrazia non siano gli eletti, ma gli elettori.
Anche in Parlamento deve regnare la libertà non solo di parola, ma di coscienza. Come prevede la Costituzione, il parlamentare “rappresenta tutta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (art. 67). Se l’eletto, in coscienza e nel desiderio di servire l’interesse pubblico, aderisce ad un gruppo diverso da quello per il quale è stato eletto, compie un atto apprezzabile! Ci si scandalizza per il passaggio, in questo momento così tragico, di parlamentari dall’opposizione alla maggioranza: c’è chi li chiama transfughi, chi responsabili, chi voltagabbana, chi volonterosi: è un’arte, questa, che richiama la retorica e la menzogna mascherata di verità. Io preferisco chiamarli “costruttori”, come li definisce il Presidente della Repubblica. Sono chiamati dalla loro chiara, leale coscienza “a non occupare posti, ma ad avviare processi”, come dice papa Francesco.
Assieme alla libertà c’è da perseguire l’uguaglianza: assistiamo all’imporsi di pochi che concentrano sempre più ricchezza nelle loro mani. Da parte dei privilegiati, dei garantiti, sempre, ma soprattutto in questo momento di pandemia, lo Stato deve chiedere un impegno concreto e non solo astratto, un’assunzione di responsabilità per combattere le disparità sociali dovute alla perdita di potere operativo della politica che si è sempre più convogliato verso entità economiche e finanziarie estranee all’elettorato.
Passione austera per la libertà e per l’uguaglianza distinguono oggi i partiti sovranisti da quelli che accettano il giudizio e la critica. Questi ultimi accompagnano l’amore per la propria terra un’ampia visione europea. L’Europa, il sogno della nostra giovinezza, si sta riprendendo da un liberalismo che si configurava nella strenua difesa dei bilanci. Oggi l’Europa sembra aver intrapreso il cammino della solidarietà e del dialogo fra i paesi membri. Sarebbe una sventura per il nostro Paese affidarne le sorti a forze nazionalistiche!
Durante la cerimonia del giuramento del presidente Biden, a causa della pandemia, non c’era la folla festante assiepata davanti al Capitol Hill. A rappresentare il popolo c’erano migliaia di bandiere. La preghiera di apertura è stata recitata da un gesuita, quella di chiusura da un pastore battista. Il presidente ha giurato sulla Bibbia e nel suo discorso ha invitato tutti ad un momento di silenzio per i morti del Covid. È risuonato l’inno nazionale cantato da Lady Gaga, erano presenti gli ex-presidenti di tutti e due gli schieramenti partitici, ma non il gaglioffo che aveva tramato contro il suo Paese: tutti segni che indicano la differenza delle religioni, delle culture, delle razze di un paese unite attorno al suo nuovo Presidente che – tra l’altro – ha detto: “Ha prevalso la democrazia, ora la mia missione è l’unità…Sapremo esercitare una leadership fondata non sull’esibizione della nostra forza, ma sulla forza del nostro esempio”.
Ecco ciò che chiediamo ai nostri parlamentari in questo tempo così critico: siano esempio di unità attorno all’Italia!
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