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Attualità

CONSUMARE LE SUOLE

SERGIO REDAELLI - 29/01/2021

Cronista-giornalista-old style

Cronista-giornalista-old style

Andare a vedere, consumare le suole delle scarpe, testimoniare di persona. In passato era la bussola dei cronisti, oggi è il papa a dovercelo ricordare. È il segno dei tempi e non è solo colpa della pandemia che ha introdotto il lavoro da remoto. Il mestiere del cronista è cambiato e rischia, talora, di diventare qualcosa di simile a ciò che i leoni da tastiera fanno tutti i giorni dal divano di casa. Scrivono senza avere visto, senza essersi documentati, senza essere andati “sul posto”. Il pericolo è di deformare la realtà secondo le proprie idee, deliberatamente o senza volerlo. In base ai propri pregiudizi. E di fare un cattivo servizio alla verità.

Inafferrabile, certo, i capicronisti di una volta insegnavano che la verità è un ideale. Esistono tanti modi di raccontarla, cercando di avvicinarsi alla realtà in base a precise regole deontologiche. Il messaggio che il papa diffonde per la 55a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali in programma il 16 maggio è un invito a tornare all’antico: “Il giornalismo richiede la capacità di andare dove nessuno va, di muoversi e di vedere. Richiede curiosità, apertura, passione. Dobbiamo dire grazie ai tanti professionisti – giornalisti, cineoperatori, montatori e registi che lavorano correndo grandi rischi – se oggi conosciamo ingiustizie e soprusi altrimenti nascosti”.

Francesco affronta i temi a lui cari e chiede ai giornalisti di andare a toccarli con mano: “C’è il rischio di raccontare la pandemia, e così ogni crisi, solo con gli occhi del mondo più ricco, di tenere una doppia contabilità. Pensiamo alla questione dei vaccini, come delle cure mediche in genere, al rischio di esclusione delle popolazioni più indigenti. Chi ci racconterà la speranza di guarigione nei villaggi più poveri dell’Asia, dell’America latina e dell’Africa? Così le differenze sociali ed economiche rischiano di segnare, nel mondo, l’ordine della distribuzione dei vaccini anti-Covid. Con i poveri sempre ultimi e il diritto alla salute affermato a parole e svuotato nei fatti”.

Vieni e vedi. Un invito che il papa ha rivolto ai media altre volte. Incontrare le persone come e dove sono. Perché è più facile vendere una notizia che aiutare a capire. Il concetto si riallaccia alla Chiesa in uscita, la Chiesa che non si chiude dentro le sue certezze ma va incontro alla gente, dove la gente soffre e chiede aiuto. Il messaggio vale per la redazione di un giornale e nel mondo del web, nella predicazione e nella comunicazione politica e sociale. Basta con i giornali fotocopia, sembra ammonire il pontefice, basta con i notiziari in cartacarbone, con le veline preconfezionate da supermarket delle news e con l’eccesso delle cronache di palazzo.

La crisi dell’editoria ha molte cause. Una di esse, forse la più grave, è l’informazione costruita in redazione che risponde agli interessi del giornale più che alla verità dei fatti. Le notizie costruite su misura che diventano opinioni. A tema. Strillate o tenute basse per sostenere la linea del direttore o, peggio, il business dell’editore. Il giornalista sta ormai fisso davanti al computer e sui social. Esce poco per strada. Contraddice antiche regole d’oro del mestiere: “Non venite al lavoro in auto, prendete il tram e ascoltate quello che la gente dice, i problemi di cui parla”, raccomandavano i vecchi direttori. Oggi tutti i media (o quasi) cantano la stessa canzone.

Basta scorrere i titoli dei giornali sui temi della politica. Grandi interessi in campo, poche voci dissenzienti. Ecco allora il richiamo del papa che coglie ogni occasione per parlare ai fedeli e non solo a loro, sia essa il pulpito dell’Osservatore Romano o le pagine patinate di Vanity Fair. I problemi della comunicazione incalzano. Il web è una risorsa. Per Francesco “è utile se veicola conoscenze che non circolerebbero”. Non si può avere paura della rete. Ma affidare gli smartphone ai bambini al di sotto di una certa età è un rischio. L’autopsia conferma che Antonella, 10 anni, è morta per asfissia dopo una sfida online su Tik Tok, il network dei giovanissimi.

Soffocata da una corda stretta intorno al collo nel tentativo di resistere il più a lungo possibile. Non bisogna lasciare i bambini soli in un’esperienza che può essere molto pericolosa. È necessario accertare l’età di chi frequenta i social network ed è ora di fissare regole efficaci per regolamentare l’attività delle piattaforme digitali. Non è solo un problema dell’infanzia. La vicenda Trump insegna. Sospendere definitivamente l’account personale del presidente americano nelle drammatiche ore dell’assalto a Capitol Hill è stato giusto o sbagliato? È bene consentire la libertà assoluta di espressione o si deve censurare l’istigazione alla violenza?

Jack Dorsey che fondò Twitter nel 2006 ammette che la decisione è stata difficile: “Giusto bloccare il presidente ma è un precedente pericoloso, per certi versi un fallimento. Non ho festeggiato e non ne vado fiero”. Il consenso di Donald Trump è stato costruito proprio sui canali che non filtravano i commenti e quella di Twitter è stata una scelta politica. Questo solleva dei problemi. Chi controlla gran parte della comunicazione esercita un’evidente influenza sull’opinione pubblica. Come considerare le piattaforme social? Supporti tecnici alla discussione o editori? Il dibattito è aperto e il papa lapidario: solo “la violenza non è mai accettabile”.

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