La porzione di casale nella maremma laziale, dove ogni tanto mia moglie Chiara ed io passiamo alcuni giorni, è circondata da pecore.
Natale o Pasqua, pioggia o sole, domenica o feriali assistiamo all’immutabile spettacolo di greggi che attraversano la strada, si spostano nei campi intorno, accettano docili di essere rinchiusi la sera in angusti recinti all’aperto. La lunghezza dei loro manti sancisce il passare delle stagioni. Ad accompagnarli, come in un presepe vivente, cane e pastori. Questi ultimi per lo più dei paesi dell’Est Europa.
Un paio di volte ci è anche capitato di dover scendere dalla macchina per soccorrere un agnellino incastrato in una rete di confine. Lontano dalla mamma i belati dei piccoli echeggiano lungo i campi.
Questa atmosfera ‘agreste’, così lontana dai grigi ritmi cittadine, mi ha reso nel tempo abituali alcuni versetti della Bibbia “Il Signore è il mio pastore” (Salmo 23) “Radunerò le mie pecore da tutti i luoghi dove erano disperse” (Ezechiele 34 v.12) “Il Buon Pastore chiama ad una ad una le sue pecore” (Giovanni 10 v.11), strappandoli da un vago sentimentalismo per riportarli alla concretezza da cui erano partiti. Come concreta è l’incarnazione di Dio in Cristo e la sua instancabile Paternità che versa olio sulle nostre ferite o ci prende sulle spalle quando siamo affaticati e oppressi.
Per questo, tra i tanti regali di Natale, mi è stato particolarmente caro ricevere un libricino di Alcide De Gasperi: “La vita di Gesù narrata alla figlia Maria Romana” (edizioni Morcelliana)
È il Natale del 1927. Lo statista trentino è rinchiuso nelle carceri romane di Regina Coeli per scontare una condanna a quattro anni inflittagli dai fascisti che lo avevano fatto arrestare sul treno fra Roma e Firenze per tentato espatrio clandestino. Nel 1928 sarà rilasciato dopo sedici mesi grazie alla condizionale. Nella reclusione, lontano dalla famiglia, prepara un semplice album per raccontare alla primogenita Maria Romana, che allora aveva 4 anni, la storia di Gesù. Sono immagini ritagliate dalla rivista americana “National Geographic” accostate alle parole dei Profeti e dei salmisti della Sacra Scrittura, ricopiate a mano. Per lo più foto, in uno sbiadito bianco e nero, di pastori e greggi scattate nella valle di Ain-Azar presso Betlemme e che restituiscono agli occhi della bimba il cammino che ognuno di noi è chiamato a fare: l’abbandono all’amore del Padre.
“Attraverso le immagini di questa terra” scrive nella prefazione Maria Romana, oggi 96enne, “mi raccontavi la storia della tua fede, quella che ti aveva sostenuto nella lotta per la libertà del tuo popolo. Mi insegnavi cosa è la lealtà, il coraggio di sostenere le proprie idee, la fiducia nella giustizia e nella carità che hanno sempre illuminato la tua strada”.
Ma è soprattutto la raccolta di immagini commentate dal papà (e ripubblicata appunto dalla casa editrice) a colpire la piccola per la capacità di restituire nella sua semplicità il senso dell’avvenimento cristiano come fatto storico. Particolare commovente: il futuro leader democristiano lamenta di non essere riuscito a completare l’opera in carcere rilegando i fogli con un cordoncino o un nastro e affidandosi alla buona volontà di chi vorrà completare il lavoro a casa. Per De Gasperi si tratta di dare alla figlia la certezza di una storia vera, non l’illusione di una bella fiaba. “Volevi farmi toccare con mano” continua Maria Romana “la realtà di quel luogo dove era nato il Salvatore del mondo. Volevi farmi intravedere la sua figura. Soprattutto l’invito a seguire Gesù oggi anche se la valle fosse oscura, perché Egli è la via, la verità, la vita».
Esistono nella scena politica attuale, uomini e donne che si muovano a partire da questa consapevolezza?
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