Comunque sarà andata la crisi di governo, vorrei condividere con i lettori la sgradevole sensazione provata durante la conferenza stampa del senatore Renzi nel giorno del suo addio al governo Conte.
Non sta a me commentare la situazione strettamente politica dato che non interessa a nessuno un ulteriore parere ma mi ha colpita fortemente l’immagine di Renzi al tavolo, tra le due Ministre dimissionarie.
Era estremamente chiaro che al comando dell’operazione sedeva un uomo volutamente solo.
Per le Ministre, rimaste a lungo silenziose, come travolte dal profluvio dell’eloquio indiscutibilmente sciolto del Senatore, parlavano le posture.
Più sostenuta quella della ministra Bellanova, che a tratti sembrava protesa a richiedere la parola.
Più chiusa, con il capo inclinato fino a nasconderne lo sguardo, quella della ministra Bonetti.
Gli occhi bassi di entrambe segnalavano una certa sofferenza. Non saprei dire se per l’umiliazione di essere costrette a margine o se per la dovuta accettazione delle scelte di Renzi.
Mi è parso poco dignitoso che le ragioni delle dimissioni fossero espresse soltanto dal “capo” mentre sarebbe spettato a loro illustrarle.
Ho trovato sconveniente che le due donne, emancipate sia socialmente sia politicamente, si siano lasciate descrivere da una quantità esagerata di complimenti, imbarazzanti anche perché non necessari allo sviluppo del discorso.
Ho trovato irritante il “vezzo”, che in realtà è una diffusa abitudine maschile già stigmatizzata in qualche occasione televisiva, di usare il nome di battesimo per le donne anche in un contesto pubblico: ecco qui Teresa ed Elena, come tra amici o colleghi.
Nessun ministro, nessun giornalista, nessun professionista di sesso maschile viene mai citato in pubblico con il nome proprio. Non ho mai sentito a un convegno o in TV usare frasi del tipo “come ritiene Carlo” (Cottarelli), “come ha fatto Matteo” (Salvini o Renzi), “come ha detto Alessandro (Sallusti).
Appellarle per nome di fronte alla nazione, riempirle di complimenti, per relegarle nel contempo ai margini, sono atti che dichiarano un pensiero ben preciso: veicolano l’idea di una sudditanza del femminile al maschile nonché, nel caso in questione, un’esplicita sottovalutazione del ruolo politico delle donne.
Questo accadeva dopo giorni in cui Renzi minacciava di ritirare le “sue” ministre.
Mi chiedo perché due donne con una storia pregressa e un curriculum politico di tutto rispetto non abbiano rivendicato un ruolo attivo nella fase conclusiva del loro lavoro, quella in cui si metteva in atto una scelta forte, carica di conseguenze per i destini del Paese.
La risposta che Corrado Augias ha dato a un lettore di Repubblica mi sembra incompleta. Il giornalista ipotizza che il comportamento di Renzi verso le “sue” ministre sia il prodotto di una “deriva narcisistica fuori controllo”.
A completamento di questa analisi vorrei sottolineare che non si sta parlando delle carenze comunicative di due studentesse ancora giovani, intimidite da un severo professore in sede di esame, bensì di due Ministre della Repubblica che hanno dato prova l’una, la Bellanova, di sapersi muovere nei luoghi del potere politico sindacale e l’altra, la Bonetti, di saper gestire le aule del sapere universitario in qualità di docente.
Non ho dubbi in questo campo: è tempo che la politica italiana faccia un vero salto di qualità per superare situazioni che mantengono in vita un inaccettabile divario di genere.
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